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Sabato 20 aprile, dopo la Messa delle ore 19.00, in Duomo a Gradisca verrà presentato il volume-testimonianza «Ti voglio bene» (Ed. Insieme) per commemorare la figura di don Tonino Bello nel ventesimo anniversario del suo ritorno alla Casa del Padre. Sarà presente il dott. Renato Brucoli, lo storico collaboratore di don Tonino, che ha reso la sua testimonianza in ricordo di don Tonino Bello nel corso di un incontro a Barletta.
Di seguito la prefazione di Agostino Picicco del libro «Ti voglio bene».
PREFAZIONE Non esiste una scissione tra l’esperienza di don Tonino Bello educatore in seminario, responsabile diocesano, parroco nella diocesi di Ugento, e quella episcopale a Molfetta. L’uomo è sempre se stesso nelle diverse situazioni in cui si trova a operare. Cambia il contesto, il tipo di incarico, la realtà umana, magari gli amici e i collaboratori, ma lo stile, il linguaggio, il modo di porsi rimane sempre uguale. Ovviamente l’esperienza, gli anni, gli impegni, le diverse relazioni sociali, le emozioni, i vari problemi arricchiscono l’umanità, il modo di vedere, di intendere e di sentire la realtà, l’approccio alle questioni, la prospettiva di giudizio, ma l’impostazione di fondo resta la stessa. È quanto si ricava leggendo le diverse testimonianze di amici e collaboratori di don Tonino durante gli anni ugentini e quelli molfettesi, raccolte nel volume “Ti voglio bene” appena dato alle stampe. Il periodo della formazione e quello dell’esperienza presbiterale sono significativi e permettono di evidenziare la continuità tra il ministero sacerdotale svolto nel capo di Leuca (a partire dal paese natale Alessano) e quello episcopale nella provincia barese. Emerge chiaramente che l’episcopato luminoso di don Tonino Bello non fu uno “scatto in avanti”, una novità imprevista, un bagliore dovuto magari allo stato di grazia derivante dalla pienezza dell’ordine. Tutt’al più l’episcopato, grazie anche all’incarico nazionale di presidente di Pax Christi, gli diede una maggiore visibilità nazionale e mediatica, che – in anni in cui la comunicazione globale supportata dalle moderne tecnologie era agli albori – la piccola diocesi salentina non poteva offrire al pur bravo e preparato educatore di seminario. Ma don Tonino, come familiarmente si fece chiamare pure da vescovo (anche qui un elemento non formale di continuità), è sempre stato così, nel comportamento, nella relazione con gli altri – dal suo vescovo all’ultimo questuante – ai quali riconosceva un ruolo provvidenziale se erano capitati sulla sua strada e per questo erano oggetto di premure fraterne accompagnate dalla stretta di mano, dall’abbraccio e da frasi del tipo «come stai?» o «ti voglio bene». Gli interventi di questo volume, che ha sapientemente unito temi e testimoni dei due periodi “geografici” della vita di don Tonino – diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca e diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi –, tendono, in modo non calcolato preventivamente, a rilevare la continuità a partire dal suo tratto umano, dal suo pensiero, dalla sua operatività pastorale, dalle sue radici, dalla sua spiritualità nei termini di una esistenza saldamente ancorata al vangelo, scevra da formalismi inutili, ben disposta all’accoglienza verso tutti, consapevole della centralità dell’uomo. Innanzitutto è da sottolineare il rispetto nutrito per i laici, la loro valorizzazione, il loro coinvolgimento non come “manovalanza” del clero ma come dono profetico della chiesa, quali animatori e protagonisti delle realtà temporali. In tal senso li ha aiutati a prendere coscienza del loro ruolo ecclesiale, ben definito anche dal Concilio, e li ha spronati a essere pronti e autonomi nei campi loro propri, capaci di progettualità e di soluzione dei problemi. Un modo per impostare quel concetto di “conteplattività” che precisò bene e portò a maturazione da vescovo. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta tutto ciò non era scontato e quindi non mancarono contrasti, attriti, diverse visioni che don Tonino affrontò sempre con garbo, rispetto e soprattutto amore verso le persone a lui affidate, con un occhio di riguardo ai più giovani. In tal senso si dimostrò anche educatore del clero, che doveva ancora sedimentare tali concetti e soprattutto individuare una prassi parrocchiale e diocesana che valorizzasse realmente il laicato. Va poi inquadrata la parrocchia, pienamente inserita nella pastorale diocesana, con i suoi punti di forza nella catechesi, liturgia, carità. Parrocchia dei volti, e nelle pagine ne vengono ricordati diversi. Molto vivi e belli i gesti riproposti dell’animazione di don Tonino in parrocchia. Dall’animazione liturgica (insegnava lui stesso i canti, cosa che poi fece anche a Molfetta negli incontri con i giovani, mirabile esempio di continuità tra parroco e vescovo), al tracciare insieme con i laici le linee del piano pastorale parrocchiale (la medesima cosa fece poi da vescovo con l’insuperabile piano pastorale “Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi”), prendendo in seria considerazione le loro proposte, suggerimenti, osservazioni. Era consapevole che questa circolazione di idee valorizzava tutti, spingeva a pensare e otteneva più frutti. In tal senso promosse anche i tipici strumenti culturali della stampa, dai ciclostilati ai giornalini di comunità, che favorivano il dialogo, la comunicazione, la diffusione delle idee di tutti. Stesso impulso diede al settimanale diocesano “Luce e vita”, per la promozione della cultura nel circuito delle parrocchie e delle associazioni ecclesiali. Ribadì inoltre l’importanza per la parrocchia di fare comunione con le parrocchie vicine. Non si trattava di vivere l’appartenenza parrocchiale come quella di un feudo ma di un atteggiamento collaborativo nelle reciproche iniziative, eliminando quel folclore che ormai non diceva più nulla in termini di fede o di segno verso il mondo dei lontani. Proprio costoro hanno rappresentato un ambito che don Tonino ha sempre considerato come priorità dell’evangelizzazione e al quale ha dedicato vicinanza personale e dialogo instaurato con correttezza e lealtà, non guardandoli con sospetto ma come fratelli da avvicinare e con i quali trovare punti d’intesa, se non nella fede e nella risurrezione, almeno nell’impegno al bene comune, per migliorare le condizioni di vita, per favorire la felicità dell’uomo. L’aiuto concreto ai poveri (di spirito e di beni, per lui non faceva differenza) non è stato un suo “hobby” episcopale, ma una sentita, argomentata, radicata e radicale scelta di vita dettata dal vangelo e praticata non solo da parroco ma già da educatore del seminario. In questo senso gli scritti sono molto chiari e illuminanti. L’attenzione agli sfrattati, l’intuire i diversi risvolti della tossicodipendenza (e di tutte le altre dipendenze: denaro, potere...), l’assistenza agli ammalati, l’aiuto ai disoccupati, sono stati atteggiamenti che hanno visto don Tonino prodigo già da parroco, tanto da definire con dovizia di dettagli e altezza di pensiero anche il ruolo della Caritas, espressione pedagogica della solidarietà, intesa non come semplice distributrice di pacchi dono ma organo promotore per la pratica più alta dell’amore. L’aiuto ai poveri (non solo per placare il bisogno immediato, ma anche per uscire dalla situazione di miseria) che rende immediatamente concreto il precetto evangelico, è stato sempre al centro della sua testimonianza e del suo insegnamento. Provocato da qualche ben pensante, ebbe a ribadire che preferiva aiutare finti poveri (approfittatori e opportunisti vari che non mancano mai) piuttosto che mandare a mani vuote chi aveva realmente bisogno. Su questo tema la sua predicazione e il suo impegno erano costanti, e miravano a coinvolgere il mondo del volontariato. Il legame tra assistenza e cultura dell’accoglienza, prassi evangelica, attenzione pastorale, era talmente forte che non esitò da parroco a inserire nella Caritas anche i rappresentanti della commissione catechesi e della commissione liturgia. Il tema della pace, inoltre, non fu una scoperta da vescovo, magari vedendo i problemi della Alta Murgia barese ridotta a poligono di tiro, ma un anelito profondo sin da ragazzo, proposto anche ad Ugento come una priorità urgente e per tutti. Il suo impegno concreto in questo ambito era già iniziato dalla cattedra di religione con i liceali per risvegliarne le coscienze, era poi proseguito da vescovo con la lungimirante presidenza di Pax Christi, era infine culminato con la marcia a Sarajevo per portare – tangibilmente e a rischio della vita – l’annuncio di pace in quella terra martoriata, supremo gesto di amore (era già gravemente ammalato), dal quale gli amici più cari l’avevano caldamente sconsigliato. I diversi riscontri del volume, anche sotto forma di aneddoti, non sono fine a se stessi ma desiderano evidenziare il vero spirito di don Tonino e quindi il messaggio che ci ha lasciato. Ha insegnato che si è giovani non per il numero di anni ma per la capacità di coltivare ideali e riscaldare il cuore. Ha augurato di amare a tal punto che il cuore faccia male. Qualche autore si è chiesto quanti messaggini don Tonino avrebbe inviato (oltre che ricevuto) se avesse avuto l’uso del cellulare. Sicuramente tale modalità oggi diffusissima di comunicazione avrebbe costituito un elemento in più per la sua fantasia e per la sua delicatezza nel farsi presente in modo efficace nelle varie circostanze dell’esistenza. Sicuramente in tanti sms avrebbe scritto anche lui “tvb”, come segno di vicinanza non formale ma sentita e tangibile. E ancora oggi, a vent’anni dalla sua scomparsa, ci sentiamo destinatari del suo “tvb”, della sua delicatezza e vicinanza, aiutati in ciò anche dagli interventi di questo bel volume che contribuisce a ravvivare i ricordi della mente, le emozioni del cuore e le ragioni di una testimonianza alta e quotidiana della quale don Tonino è stato maestro. Agostino Picicco
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