Nell’ambito della commemorazione del ventesimo anniversario del ritorno alla Casa del Padre di don Tonino Bello, riportiamo la prefazione di Renato Brucoli del libro «È vent’anni che ha vent’anni» di Maurizio Qualizza (Ed. Insieme).
PREFAZIONE
Un innamorato di Gesù Cristo. Annunciatore e testimone del Risorto. Con Maria per compagna di viaggio e
la parola di Dio, gravida di misericordia e di luce, per “bussola”. Ecco i punti cardinali lungo cui si è snodata l’esistenza terrena di un eccezionale “pontefice”: costruttore di ponti fra Dio e l’uomo. Che tanto somiglia all’attuale Pontefice da sembrarne l’incarnazione profetica.
Uomo di sintesi, don Tonino Bello ha saputo stendere una scala tra il cielo e la terra. Ha promosso una spiritualità di cerniera tra la fede e la storia, la Bibbia e il giornale, invitando a diventare “contemplattivi” con due “t”: contestualmente capaci di estasi e d’azione.
Vescovo di Molfetta e presidente nazionale di Pax Christi, è morto giovane vent’anni fa, il 20 aprile 1993, a soli 58 anni: amato dalla gente, dai poveri soprattutto, e – oso pensare – da Gesù Cristo, sulla cui croce ha saputo salire, «confitto ma non sconfitto».
Da allora la sua parola e la sua testimonianza sono sempre più presenti. Si mantiene “giovane”, don Tonino, e torna legittimo affermare che “è vent’anni che ha vent’anni”.
Che c’è.
È un innamorato della vita. Ha un’anima senza confini, foriera di rapporti nuovi, riconciliati. La bellezza scritta nel nome. Parla ai cuori. Accarezza con tenerezza. Grida aneliti di libertà. Annuncia Cristo senza mezze misure. Profetizza cieli nuovi e terre nuove. Promuove liberazioni. È un evento dello Spirito.
E non solo si mantiene giovane, ma in tanti pensano che l’eternità gli appartenga, perché ha fatto dell’esistenza un tempo d’amore. In diversi lo vorrebbero santo canonizzato (ora è Servo di Dio) per il grado elevato con cui ha manifestato le virtù teologali – fede, speranza e carità – indicando costantemente la direzione e la meta da raggiungere: Cristo e non altri. Riconosciuto, contemplato
e accarezzato nel volto dell’altro.
Ecco il suo “segreto”, l’elisir di giovinezza: qualunque cosa abbia fatto – il prete, l’educatore, lo sportivo, il musicista, l’uomo di cultura, il vescovo, il costruttore di pace, il profeta, il cantore della bellezza e della gioia, il campione della tenerezza – don Tonino ha sempre avuto Gesù Cristo come termine di paragone. Di Lui ha invitato a leccarsi le labbra, fino a gustarne il nome. Proprio come Francesco d’Assisi nella notte di Greccio: «Ogni volta che, cantando il Vangelo, pronunciava la parola “Gesù”, si leccava le labbra, quasi a gustare la dolcezza di quel dono, di quel nome».
Caso quasi unico nella chiesa italiana, don Tonino Bello è stato nominato monsignore giovanissimo (titolo di cui non ha mai voluto fregiarsi), appena dopo aver partecipato da consultore al Concilio Vaticano II, la cui lezione ha saputo tradurre in prassi pastorale promuovendo una Chiesa aperta al rinnovamento della vita cristiana e alle sfide del tempo. Una chiesa anch’essa giovane, circolare, non più gerarchica e piramidale, ma configurata come popolo di Dio intorno all’Eucaristica. Una chiesa che recupera credibilità attraverso il “potere dei segni” dopo aver smesso “i segni del potere”, ogni primato, privilegio. Una chiesa con il grembiule: estroversa, al servizio del mondo, capace di dare del “tu” e di rivolgersi a ciascuno in modo inedito e personale; propensa a farsi dare del “tu” in modo fraterno e solidale.
Questo vescovo, “tutto uomo e tutto sacredote”, ha incontrato don Maurizio Qualizza tempo addietro, quasi per caso. Ce lo racconta egli stesso:
«L’ho conosciuto tanti anni fa: su di un prato, vivendo il sacramento della penitenza. Non sapevo fosse vescovo: l’ho conosciuto come prete, come confessore, in un abbraccio di misericordia. Mi sono
sentito accolto dalla trasparenza del suo sguardo, da parole cariche d’amore e di comprensione».
Da allora non se n’è più staccato. Ha visitato la sua terra, conosciuto i suoi sodali, continuato a dialogare con lui, a riflettere sulla sua proposta di vita cristificata: sulle dimensioni della sua spiritualità di radice francescana, sulla sua fede fondata sul Risorto, sul suo impegno di chiesa e nel mondo.
Il libro ne è la testimonianza orante: raccoglie le meditazioni annualmente proposte dall’Autore e, più episodicamente, da altri suoi amici, su “Voce isontina”, il settimanale dell’arcidiocesi di Gorizia impareggiabilmente diretto da Mauro Ungaro. Gli scritti riescono a far memoria con efficacia del vescovo “della convivialità delle differenze”.
Ciascuna riflessione è come la tessera di un mosaico: accostata alle altre, offre una visione d’insieme e una
lettura articolata e unitaria dell’amato Pastore. Non si tratta di molti argomenti, ma di quelli decisivi,
come nella ricerca religiosa di don Tonino Bello. Ha saputo andare all’essenziale: pace e carità le parole centrali.
«Pace a voi» è la prima parola del Risorto. Per questo la chiesa deve tenerne conto.
Carità è la chiave di lettura della “carriera di Dio” come si è realizzata in Cristo, un abbassamento dopo l’altro: «Da ricco che era, si è fatto povero, fino ad amare i poveri con viscere di misericordia». Così anche don Tonino: ha considerato i poveri “beati e benedetti”, li ha cercati e raggiunti sulle tante Gerusalemme-Gerico del mondo contemporaneo, ha dato loro visibilità in un contesto desideroso di occultarli, si è schierato di preferenza dalla loro parte, si è industriato nel promuovere le “pietre di scarto” al rango di
“testate d’angolo”, ha offerto un’ala di riserva a chi è rimasto impigliato nei rovi delle nuove e vecchie povertà. Ha racchiuso l’enciclica della sua vita in un solo periodo: «La misura dell’amore è di amare senza misura». Anche abbracciando la Croce, quella propria e quella altrui, per farsi irriducibile cantore dell’alleluia pasquale.
Renato Brucoli