Nel tempo pasquale ricorre la memoria del ritorno alla casa del Padre del Servo di Dio don Tonino Bello, il Vescovo della pace e degli ultimi, speranza degli oppressi. Sono passati diciannove anni, il “popolo di don Tonino” come molti amavano e amano, in senso di appartenenza di pensiero e di sogni definirsi, ha preso strade diverse, il contesto del mondo in vent’anni è cambiato, ma sono tantissimi ancor oggi che guardano a lui, se è vero ad esempio che molte vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa trovano ancora nei suoi scritti, nella sua testimonianza di vita, alla sua Tomba di Alessano, la radice ispiratrice. Basti dire che questa Chiesa locale del Sud Italia, con i suoi 133.000 abitanti annovera in Seminario 50 giovani! Mons. Antonio Bello è stato un vescovo dinamico e di una capacità comunicativa straordinaria. Attivo non solo nella sua diocesi, ma anche a livello nazionale, lasciando nelle persone e nei luoghi della sua attività, nelle relazioni umane segni e attestati concreti e significativi della sua fama di santità che ha sempre poggiato sui pilastri dell'amore a Dio e l'amore per la Chiesa. Chiesa che concepiva come chiesa del grembiule, cioè la gerarchia al servizio del popolo di Dio, definizione cara al concilio che egli userà sempre con abbondanza. Fare comunione, scendere per strada e stare in mezzo alla gente tra problemi e debolezze sono stati al sua cifra di governo, sono stati il suo prezioso ministero. La sua parola era da tutti “goduta” perché persona libera dagli affanni umani, dell’immagine da difendere, del potere da far pesare. Del resto la grazia del sacerdozio lo colse in anticipo, a soli ventidue anni e lo coinvolse per tanti anni in diversi ruoli educativi alla vita buona del Vangelo sintetizzabili nelle sue parole: «La vita è bella, spendila a caro prezzo, al prezzo più alto». E il prezzo alto che egli ha testimoniato è stato quello della santità, quella santità feriale che ha lasciato tracce profonde nei cuori di molti e che sono sicuramente la freschezza e il grembo vocazionale della sua Chiesa molfettese. Chi bussava alla sua porta riceveva sempre conforto, forse perché Egli era sempre memore delle parole evangeliche “Io sto alla porta e busso….” , A chi gli chiedeva che cosa lo affliggesse di più, Don Tonino rispondeva: “Mi fa soffrire molto l'impossibilità di giungere a dare una mano a tutti. Ho un'agenda sovraccarica di persone che chiedono una visita, un sostegno, un appuntamento, del denaro, una soluzione ai loro problemi... Si vorrebbe avere occhi e mani per ognuno, ma non si riesce, e questo è il rammarico più grande”. Una frase che risuonava spesso sulle labbra di Don Tonino era: “Coraggio, non temere”. In uno suo scritto intitolato “Le mie notti insonni”, Don Tonino elenca una serie piuttosto lunga di paure che contaminano l’uomo moderno, minando anche il suo rapporto con Dio. Forse anche per la sintonia con la spiritualità francescana, apparteneva infatti all'Ordine Francescano Secolare, Don Tonino amava lasciarsi guidare dal Vangelo "sine glossa", senza sconti sulla verità né soluzioni o prudenze. Non a caso si definiva “Un buono a nulla, ma capace di tutto, perché consapevole che, quanto più ci si abbandona a Dio, tanto più si riesce a migliorare la gente che ci sta attorno”. Il suo passaggio si è compiuto nei giorni della Pasqua, come un Esodo sprigionante forze impensate di liberazione, e ogni Pasqua ne fa memoria e riceve luce da quelle sue parole: “ La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre "collocazione provvisoria". Anche riguardo al tema della sofferenza, Don Tonino rimase sempre aderente allo spirito evangelico che ne sottende il senso. Ma per Don Tonino, la sofferenza trovava un senso vero solo se condivisa amorevolmente con Dio. Scriveva: “Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo giorni quali ci sembrava di non dover vivere mai. Perfino ad attardarsi sulla rievocazione delle violenze si dà l'impressione di essere stancamente ripetitivi. La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame ci sfilano davanti agli occhi come grondaie inconsumabili, e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco. La nostra coscienza morale esce schiacciata da questa temperie di dolore. E' il tempo del torchio. Il nostro animo si gonfia di turbamento.” E in uno scritto ritrovato dal fratello Marcello, appena un mese fa, diventate subito una preziosa Via Crucis di meditazioni, diceva "Chiediamo al Signore che possiamo veramente abbandonarci a Lui, e soprattutto che possiamo inebriarci dei raggi, della luce della risurrezione, perché é lì che noi facciamo perno, é lì che puntiamo tutte le nostre chance."
don Maurizio Qualizza