Una strana festa, quella dell'ascensione, perché se da una parte Gesù ritorna alla casa del Padre, come predisse “io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”, dall’altra aveva anche detto “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Ma quelli che a noi sembrano degli eventi dilazionati nel tempo, sono in verità un’unica realtà: “Gesù, risorgendo, è già presso il Padre e dona lo Spirito Santo”. Per questo ormai staccato dal tempo e dallo spazio può anche dire: io sono con voi per sempre.
L'ascensione segna l'inizio del tempo della Chiesa, un tempo non di nostalgia, di disimpegno, ma di missione, infatti gli angeli richiamano i presenti a non guardare il cielo, ma a guardare la terra, cioè la concretezza della vita e dell’annuncio, nella logica dell’incarnazione.
La Chiesa che vive sulla terra, dentro l’umanità e la ferialità, diventa allora “il luogo dell'incontro privilegiato col Risorto, e assolve il suo compito solo quando rende presente il vangelo.”
E ciò a cominciare, ricorda l’evangelista Matteo, dalla Galilea, dai luoghi di frontiera della vita, laddove fede e incredulità, cristianesimo e diversità religiose si incontrano.
In altre parole “non guardare il cielo” può significare dentro un discorso di evangelizzazione, di servizio, di ministerialità, di “pastorale”, ri-partire dalle nostre povertà o da quelle degli altri, dalle contraddizioni della parrocchia, dalla distanza che c’è tra il nostro dirci cristiani e il nostro non esserlo ancora, dentro questa “cristianità d’Occidente” che frana sotto i nostri occhi, ma ancor più semplicemente “dentro”i tanti relativismi quotidiani, difficoltà che incontriamo in ogni ambito della vita, dentro gli affetti feriti, “in questa Chiesa fragile, in un mondo ancor di più fragile. Ma che Dio ama.”
Sì perché lo ha promesso, e la sua croce e risurrezione, ci ha detto questo lungo tempo pasquale, ne è il sigillo, la conferma, non siamo soli, Egli è con noi.
don Maurizio