Il racconto degli Atti comincia dicendo:
“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Questo ci fa dire che la Pentecoste esisteva già prima dell’era cristiana, ma qui c’è, lo testimonia la sacra Scrittura, un dono particolare dello spirito.
Nell’Antico Testamento esistevano due interpretazioni della festa ebraica di Pentecoste. All’inizio era la festa delle sette settimane, la festa del raccolto, quando si offriva a Dio la primizia del grano, ma successivamente, e certamente al tempo di Gesù, la festa si era arricchita di un nuovo significato, era la festa del conferimento della legge sul monte Sinai e dell’alleanza.
Questo se da una parte ci suggerisce che nella storia di Gesù, nella sua Pasqua che oggi giunge a compimento, davvero il Padre ci ha offerto “la primizia” del suo amore, della sua vita, dall’altra ci suggerisce una domanda, noi che cosa siamo capaci di offrire a Dio?
Il secondo significato ci porta a pensare alle 10 parole, fonte di libertà e di alleanza, la domanda per noi può essere:
i comandamenti, ma ancor meglio, la “Parola” ha ancora posto nella nostra vita, la intendiamo come fonte, principio di vera libertà, è lo spazio d’amore, il modulo della nostra relazione-alleanza con il Signore?
Rimane bella l’immagine-realtà della Casa (Cenacolo) piena di vento, è il vento dello Spirito che scende comunque, segno della fedeltà di Dio, una presenza-forza che dà l’ebrezza (gli Atti dicono che gli apostoli quella mattina parevano «come ubriachi» eccessivi, fuori misura.).
Forse è un’indicazione per noi che rischiamo di non essere più cristiani fuori misura, ma misurati in tutto, anzi troppo, per difendere poi che cosa?
La nostra immagine, il pensiero che la gente può avere su di noi?
Il non rischiare andando al di là dell’amministrazione dell’esistente?
Il Signore non richiede da noi una risposta teorica, ma una adesione che metta in gioco la totalità della nostra persona e della nostra esistenza. Come ha detto, e soprattutto fatto, Sant’Antonio: «Amerai il Signore tuo Dio che, creandoti, diede te a te stesso; e che facendosi uomo per te, ti ristabilì e, dandosi a te, restituì te a te stesso.
Dato e restituito, a Lui dunque tu ti devi, due volte ti devi, tutto intero ti devi» (S. Antonii Patavini, Sermones domenicales et festivi).
E in Sant’Antonio questa dedizione totale nella risposta fu letterale, fu come in Francesco d’Assisi “sine glossa”: l’amore di Dio e dei fratelli in Lui bruciò la sua breve – 36 anni – e intensissima esistenza, come narrano anche gli antichi biografi: «morì per sfinimento di eccesso di lavoro e per scarso nutrimento e riposo».
Possa il suo esempio smuoverci dal nostro torpore e ravvivare la nostra fede in Cristo Signore.
don Maurizio