Si potrebbe dire che la liturgia ci fa fare dei salti, ma in verità cerca di tenere insieme aspetti diversi della vita e della fede, così da deserto delle tentazioni, da una vita provata da aridità e non senso, oggi passiamo al monte della Trasfigurazione, che potremmo interpretarlo come quella sosta di grazia e tenerezza che Dio ci offre per farci cogliere anche nelle difficoltà del cammino la meta, il senso ultimo del vivere e del patire. Sul Tabor il corpo di Gesù trasfigurato dice la pienezza di divinità che è presente il Lui, nel suo mistero di Uomo, ma forse ci dice che quella luce c’è anche in noi, c’è anche nella storia, pur con tutte le sue ferite e sconfitte e che la fonte è Lui. Forse un pensiero che Pietro e gli altri non hanno fatto è questo: che grande amore ci ha voluto Dio, Gesù per passare da questa sua vera luminosa condizione di Figlio ad assumere le ombre dell’umanità, a correre i rischi di ogni uomo. E forse gli apostoli saranno scesi dal monte con in cuore una grande nostalgia, quella che in fondo c’è in ognuno di noi, una condizione di luce, di purezza, di santità che avevamo (anche da fanciulli) e che non abbiamo più, persa nei mille rivoli della vita. Come risulta anche in San Paolo laddove dice: “Vedo il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio”, dobbiamo come combattere con noi stessi per ricostruire il nostro " a immagine e somiglianza di Dio" .C’è la croce di mezzo, il morire a se stessi, il sacrificio, anche se oggi vorrebbe essere un termine poco usato, infatti Gesù poco prima di salire parla ai suoi discepoli della croce, del patire, del morire, perché nella vita non tutto sta nelle folle che ti seguono, nei miracoli, nello stupore, la logica di Gesù non è logica di efficientismo, di consenso, di star bene, è logica di Croce.
don Maurizio