Il Buon Pastore, che conosce e da la vita per le pecore (che ha l’odore delle pecore ha detto in questi giorni Papa Francesco!) e che ci viene proposto nella pagina del Vangelo di Giovanni è stato il modello inequivocabile del ministero di don Tonino Bello, che così vedeva la sua Chiesa:
Chiesa estroversa. Che esce dal perimetro sacro e attraversa la navata del mondo. Promuove una spiritualità di cerniera tra la fede e la storia. Legge la Bibbia sine glossa e il giornale senza tabù. Chiede al mondo l’ordine del giorno dei propri lavori. Prende posizione sui temi del tempo. Vive le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei contemporanei. Recupera spessori di umanità. E cerca il volto dell’altro come fosse quello del Signore. Per contemplarlo, accarezzarlo, amarlo.
Chiesa del grembiule. Al servizio del mondo. Senza primati e senza privilegi. Chiesa della minorità. Dove, fra il dire e il fare (l’annuncio e la testimonianza) non c’è di mezzo il mare. Chiesa che desidera occhi nuovi per leggere le sofferenze dei fratelli. Che offre un’ala di riserva a chi rimane impigliato nei rovi delle nuove e vecchie povertà.
Chiesa profetica, che insegue il grande sogno: promuovere l’umanità coesa, fraterna, conviviale.Che assume le differenze come fattore di ricchezza e di crescita. Che cerca la pace come pienezza, come somma dei beni più grandi: libertà, giustizia, salvaguardia del creato, rispetto della dignità umana, valorizzazione dell’alterità …
Chiesa conciliare. “Pentecoste del nostro tempo” (Giovanni XXIII). Che Papa Francesco vive e ripropone. In cui si è specchiato anche il Servo di Dio don Tonino Bello. Morto vent’anni fa, è presente e attuale come mai. L’eternità gli appartiene perché ha racchiuso l’enciclica della sua vita nell’espressione “la misura dell’amore è di amare senza misura”.
Detto fatto: non da maestro saccente. A caro prezzo, da testimone credibile.
Renato Brucoli