Ancora un miracolo “in itinere”, ci offre oggi la pagina evangelica, compiuto da Gesù mentre è in cammino. Non si tratta di un viaggio qualunque; Gesù è in cammino verso Gerusalemme. Luca lo evidenzia prima di iniziare il racconto dei dieci lebbrosi; l’evangelista non vuole farci dimenticare che Gesù sta andando a Gerusalemme ben consapevole di quello che lo aspetta là, tanto è vero che al capitolo dopo ripete ai Dodici: “Ecco. Noi andiamo a Gerusalemme”, annunciando loro, ancora una volta, la sua passione. Ma questo non gli impedisce di compiere, durante il suo viaggio, gesti di compassione; proprio quella compassione che gli chiedono i dieci lebbrosi, rivolgendosi a lui con un forte grido che esprime tutta la loro disperazione. Davanti al grido dei lebbrosi che chiedono misericordia, come reagisce Gesù? Si limita a guardarli. Non si avvicina, non li tocca, come fa invece nel caso di un altro lebbroso che egli guarisce. Dice loro di andare a mostrarsi ai sacerdoti; dice loro di agire come se fossero già guariti.
Chiede loro cioè di andare sulla fiducia, di aver fede prima che ci sia un risultato. Ed essi, tutti e dieci, dimostrano di aver fede perché vanno, fidandosi della sua parola; e mentre sono in cammino la loro lebbra scompare, sono guariti. Ma di fronte alla guarigione i dieci reagiscono in maniera diversa. Nove di loro continuano il cammino verso il Tempio; uno interrompe il suo tragitto. Sono tre le cose che fa: torna sui suoi passi, glorifica Dio e ringrazia Gesù gettandosi ai suoi piedi. Di fronte alla riconoscenza di quest’uomo Gesù reagisce in maniera molto umana: è deluso che uno solo sia tornato indietro per dare gloria a Dio. E’ questo che gli dispiace maggiormente il fatto che non hanno reso gloria a Dio. E a questo punto mette in evidenza il fatto che quell’unico che è tornato indietro è uno straniero; il vangelo dice testualmente “di un’altra razza”. Gesù lo fa rialzare e gli dice: “la tua fede ti ha salvato”. Questa è la differenza fra i nove e il Samaritano riconoscente: i nove sono guariti, il Samaritano è guarito e salvato. Perché è salvato? Dando gloria a Dio ha riconosciuto l’intervento di Dio nella sua guarigione. E così facendo è diventato uno che annuncia il Regno di Dio. Ecco, quando sentiamo la presenza di Dio nella nostra vita, quando ci rendiamo conto che veramente Dio ha fatto per noi qualcosa di speciale, abbiamo anche noi due possibilità: o attenerci alle regole della Chiesa, essere dei buoni cristiani, fare tutto per bene. Oppure avere il coraggio di fare qualcosa di più e di diverso, avere il coraggio “di osare”, di rendere gloria a Dio riconoscendo che è entrato nella nostra vita per cambiarla. L’esempio ci viene ancora una volta da uno straniero. A Luca piace ribadire come nello straniero ci possa essere più fede, più amore che nel giudeo, nella persona “religiosa”. Lo ha già fatto nella parabola del buon Samaritano, lo farà ancora di più nel libro degli Atti, dove mostrerà che l’annuncio di Paolo viene accolto dagli stranieri, a cui l’apostolo si rivolge dopo che il suo annuncio è stato respinto dai giudei.
Quale potrebbe essere l’attualizzazione per noi? Ce l’ha detta Papa Francesco in questi mesi: Serve, ha detto, una Chiesa che sappia "mettersi in cammino con tutti". Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. “Preferisco una Chiesa che sbaglia per fare qualcosa, che una Chiesa che si ammala perché rimane chiusa …”
don Maurizio