E’ bello leggere nella pagina del Vangelo di questa solennità di Pentecoste che i discepoli erano ancora “chiusi” nel cenacolo per “timore dei Giudei”.
Anche noi credenti del “dopo-Pasqua”, pur forti di una testimonianza cristiana di duemila anni, di fatto stiamo ancora chiusi e abbiamo le nostre paure nel confrontarci, o, come dice San Pietro nella sua prima Lettera, nel "rendere ragione" della speranza che è in noi. In noi c’è infatti una speranza, una promessa di futuro che è racchiusa nei nostri cuori grazie alla fede nel Signore Gesù: e questo certo ci fa coraggio.
Ma ci chiedono anche di "rendere ragione" della speranza che è in noi, di testimoniare nelle opere quella promessa che celebriamo nella fede, e questo francamente ci spaventa, proprio come gli apostoli. La novità viene portata dallo Spirito Santo, dalla sua forza, dal Battesimo di Spirito promesso da Gesù: “ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra non molti giorni" (Atti 1,5).
Scriveva Sant’ Antonio di Padova: «Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere» (Antonio di Padova, Sermones, I, 226). Questa è la sapienza che Antonio ha scelto ed amato. Essa non tramonta, è impregnata dello Spirito, è eterna.
don Maurizio