Questa festa ci fa chiarire intanto una cosa subito, la croce, la sofferenza, non è mai di esaltare, anzi lo stesso titolo della festa di oggi ci può infastidire, e ancor più forse, con quel titolo un po’ strano ci metterebbe in difficoltà con tutti coloro che vivono grandi sofferenze, lutti o fatiche del cuore.
Ma cosa ci vuol dire questa festa che ricorda il ritrovamento da parte della Madre dell’imperatore Costantino della croce di Cristo a Gerusalemme? Che Dio non ama la sofferenza, la croce non è da esaltare, la sofferenza non è mai gradita a Dio, Dio non gradisce il sacrificio fine a se stesso. Troppo spesso nel passato la predicazione e la catechesi sono scivolate su questi discorsi, rischio che può produrre anche danni.
La nostra fede non resta ferma al calvario, sale al sepolcro, lo trova vuoto ed è capace di annunci di risurrezione. Come dire che la gioia cristiana è la croce vuota, questa è la croce gloriosa che oggi esaltiamo, una croce che ha portato il Figlio di Dio, segno non tanto della sua sofferenza ma del suo amore.
Il Papa è venuto in mezzo a noi per pregare per la pace, su quel Sacrario di Redipuglia simbolo di milioni di croci… nelle sue parole abbiamo sostanzialmente risentito l’invocazione fatta oltre 300 anni fa dal Beato Marco d’Aviano:
“Allontana le genti che vogliono la guerra. Da parte nostra lo sai: non amiamo altra cosa che la pace, pace con Te, con noi e con il nostro prossimo”.
Questa solenne, accorata preghiera a Dio, certamente era tra i sentimenti, la preoccupazione che lo hanno mosso a farsi pellegrino nella nostra terra isontina. Perché le inutili stragi dei nostri tempi presenti non possono non farci pensare all' “inutile strage" di cento anni fa!
Anche noi con San Francesco allora diciamo:
“Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo e ti lodiamo, perché con la tua croce hai redento il mondo”.
don Maurizio