Narra un midrash - racconto parabolico con lo scopo di indagare il senso profondo della Scrittura - che un giorno un pagano si recò da rabbi Jeoshua ben Korba per porgli questa domanda: "Perché il Santo, benedetto egli sia, parlò a Mosè dal luogo di un cespuglio di spine?" (=roveto ardente: cfr. Es 3). Il rabbi rispose: "Se avesse parlato dal luogo di un carrubo o di un sicomoro tu avresti fatto la stessa domanda. Ciononostante non ti lascerò senza risposta. Perché dal luogo di un cespuglio? Per insegnarti che nessun luogo, neppure un cespuglio di spine, è privo della presenza di Dio".
L’odierna festività nasce nel IV secolo con Costantino, dopo decenni di persecuzione, i cristiani di allora vedendo innalzarsi le mura della basilica contemplando anche la libertà di culto che era stata loro data e con questa la “dignità umana”. Per noi questa festa allora dovrebbe suscitare più riflessioni, la prima sulla presenza di Dio che non è riducibile al tempio, ma è ovunque, ma è ovunque, nella vita, nella storia, lì è da cogliere ed accogliere. Poi il tema della libertà, certo quella religiosa ma anche quella meramente umana, che di fatto non c’è, dovrebbe spingerci ad impegnarci per realizzarla. A far nostro in qualche modo, anche facendo opinione, il dramma della persecuzione dei cristiani nel mondo, ma anche quella non meno pericolosa, più sottile e invisibile che nella nostra società mette all’ultimo posto Dio, il vangelo, l’uomo stesso. Infine la chiesa-tempio ci ricorda la nostra missione di costruire la civitas christiana, che potremmo meglio dire la civiltà dell'amore.
L'espressione «civiltà dell'amore» è stata usata per la prima volta dal Beato Paolo VI il 17 maggio 1970, festa della Pentecoste, un impegno quanto mai attuale per ciascuno di noi.
don Maurizio