Eccoci nell’Avvento.
Entriamo oggi nel tempo della speranza.
Avvento vuol dire letteralmente avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero urgente: abbreviare distanze, tracciare cammini d'incontro.
Certo, ha detto Papa Francesco nell’omelia di giovedì scorso a Santa Marta, certo che «la realtà è brutta: ci sono tanti, tanti popoli, città e gente, tanta gente, che soffre; tante guerre, tanto odio, tanta invidia, tanta mondanità spirituale e tanta corruzione».
Però «tutto questo cadrà». Perciò «niente depressione» ma «speranza». È vero, ha riconosciuto Francesco, Ecco perché, ha affermato, dobbiamo chiedere «al Signore la grazia di essere preparati per il banchetto che ci aspetta, col capo sempre alto». E quel banchetto è la venuta ultima del Signore alla quale ci prepara l’Avvento, facendo memoria anche della sua venuta storica, il Natale.
Sì il male c’è, è inutile nascondercelo, «Tutti siamo avvizziti come foglie,
le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.» (Is 64,5) confessa con amarezza Isaia nella Prima Lettura di questa Domenica, ma ci è stata data una grazia, ricorda San Paolo nella Lettera ai Corinzi, la grazia, la forza, la possibilità di non farci narcotizzare, plagiare da quella che il Papa chiama “la mondanità spirituale” dobbiamo “spogliarci della mondanità spirituale che uccide l’anima, le persone e la Chiesa.” Ecco allora che siamo chiamati a riscoprire la bellezza, la forza del nostro Battesimo e vegliare, non nell’ozio o in un’attesa beata o apocalittica, vediamo cosa succederà, ma nello stile della carità, del servizio. Cerca il bene, comunica la pace, aiuta chi ha bisogno e sarai felice, perché davvero, come dice Gesù, "c'è più gioia nel dare che nel ricevere."
don Maurizio