In quel tempo, Gesù venne con i suoi discepoli in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo.. che bello oggi soffermarsi su quel “venne – entrò in una casa …” Gesù che entra con i suoi è simbolo della “novità” del Regno, è la “nuova” piccola chiesa che sta nascendo, fondandosi sulle sue logiche che si compiono nel dono e nel servizio. Quella casa oggi siamo noi, siamo chiamati ad abitarla noi per incontrare il Signore. E si radunò tanta folla che non potevano neppure prendere cibo. Questo passaggio, se da una parte ci lascia intuire che c’è sempre il rischio di vivere anche l’esperienza religiosa in un modo poco umano o disumanizzante come talvolta è la vita dei preti , ma credo anche di tante persone frullate da un mondo del lavoro o sociale che non lascia scampo, che schiavizza … o anche di tanti genitori presi da mille incombenze, dall’altra ci dice che il Regno di Dio, se vogliamo il Signore, quel mondo dei valori viene prima, è più importante anche dei nostri bisogni primari della sopravvivenza, il Signore, la parola di Dio, i sacramenti infatti non sono fatti per la nostra sopravvivenza, ma per una vita piena, riuscita, felice …
Infine quel « Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: E' fuori di sé …».
E questo ci dice come spesso o talvolta pur essendo “parenti” anche “stretti” del Signore, cristiani impegnati, preti e vescovi … si può correre il rischio di “restarne fuori” se non si accoglie la sua novità.
“Entrare” ed “uscire” esprime qui, chiaramente, la capacità a meno di essere veramente dei suoi, di sposare la sua logica d’amore e solidarietà con l’umanità sofferente.
Forse oggi il Signore ci chiede di osare anche a rischio di non esser capiti, di esser considerati dei demoni, di osare nell’amore, perché scrive sant’Antonio:
“La carità è l’anima della fede, la rende viva; senza l’amore, la fede muore” (Sermones Dominicales et Festivi II, Messaggero, Padova 1979, p. 37).
don Maurizio