E’ la domenica “gaudente” cioè della gioia per la vicinanza del Natale, o meglio perché Dio si è fatto e si fa continuamente vicino, essendo l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Così la parola del profeta invita alla gioia “Rallègrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Potremmo vedere evocata in quest’immagine la misericordia di Dio che anche in questo Natale si fa vicina a noi, nel mistero del nostro cuore, della nostra storia, ma anche nell’oggettività della grazia del sacramento della Penitenza e dell’Eucaristia. San Paolo ai Filippési sembra chiederci che questa gioia, che non è data dalle cose, ma dalla vicinanza del Signore, diventi contagiosa, testimoniale, fondamento di quella confidenza, relazione filiale che siamo chiamati a tenere con Dio “fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.” L’evangelista però ci aiuta a non correre rischi di troppo alta spiritualità che potrebbero farci delle persone disincarnate col rischio di vivere la dimensione religiosa e della fede come fatto ideologico e lo fa riproponendo la domanda: «Che cosa dobbiamo fare?».
C'è appunto questa domanda che rimbalza pari pari per ben tre volte nel giro dei pochi versetti di questo vangelo: "Che dobbiamo fare?". È una domanda che registriamo tante volte dentro e fuori di noi, quando l'angoscia ci annebbia la vista e ci fa perdere la strada, e allora ci chiediamo smarriti: ma, insomma, che dobbiamo fare? Altre volte questa domanda assume il tono di una ricerca aperta e disponibile: pensiamo, per esempio, a due giovani che decidono di intraprendere il cammino dell'amore che li porterà al matrimonio cristiano e si domandano sinceramente e generosamente: e adesso che dobbiamo fare? Forse, più spesso, questa stessa domanda risuona nelle nostre famiglie e diventa l'esternazione di un disagio nel dialogo tra le generazioni. I giovani di una volta rischiavano una vita piena di precetti, costretta da norme rigide e inflessibili. Per ogni problema c'era una regola, per ogni situazione era già scritto quello che si doveva fare. Esagerando un po', forse si potrebbe dire che un tempo si correva il pericolo di vivere una disciplina senza amore; i giovani di oggi rischiano il contrario. E i genitori si domandano angustiati: che cosa dobbiamo fare ancora con questi figli? ( F. L.)
La risposta che dà è molto semplice, vivere il comandamento dell’amore, come risposta a quell’Amore che si è fatto Carne. Vivere cioè quell’esistenza solidale, fatta di opere di misericordia che sono via al cielo. Come ha ricordato nell’angelus di domenica 6 dicembre Papa Benedetto XVI riferendosi anche alla Conferenza dell'ONU a Copenhagen, riguardo la salvaguardia del creato che “postula l'adozione di stili di vita sobri e responsabili, soprattutto verso i poveri e le generazioni future”.
don Maurizio