Entriamo nel tempo ordinario ma con una pagina del vangelo davvero straordinaria che ci invita a guardare con speranza l’esistenza umana. Ciò che avvenne alle nozze di Cana, in fondo capita in ogni esperienza dell’uomo. Essa comincia nell'entusiasmo e nella gioia (di ciò è simbolo il vino); ma questo entusiasmo iniziale, come il vino a Cana, con il passare del tempo si consuma e viene a mancare. Allora si rischia di fare le cose non più per amore e con gioia, ma per abitudine. Cala sulla famiglia, se non si sta attenti, come una nube di grigiore e di noia. Anche di questi sposi, si deve dire mestamente: "Non hanno più vino!", cioè gioia, senso di vita! L’evangelista Giovanni ci suggerisce che il modo per non cadere in questa situazione, o uscirne se vi si è dentro è quello di invitare Gesù alle proprie nozze, nella propria vita. Perché se lui è presente, gli si può sempre chiedere di ripetere il miracolo di Cana: trasformare l'acqua in vino.
L'acqua dell'abitudine, della routine, della freddezza, nel vino di un amore e di una gioia migliore di quelli iniziali, come era il vino moltiplicato a Cana. "Invitare Gesù alle proprie nozze", significa tenere in onore il Vangelo nella propria casa, pregare insieme, accostarsi ai sacramenti, prendere parte alla vita della Chiesa. Oggi questo avviene di rado, anche per coloro che si dicono cristiani, che in chiesa ci vanno, come dire? Il Signore è diventato un fatto marginale, che non incide, non ha peso sulle scelte personali e familiari. Ma non solo lui, di fatto é la presenza provvidenziale di Maria che in radice, con il suo intervento su Gesù scongiura una precoce e penosa conclusione della festa e della gioia. Possa ciascuno di noi e ogni nostra famiglia, aver cari nella propria vita questa “coppia umana” garanzia di salvezza e felicità.