IN MEMORIA DI P. ANTONIO VITALE BOMMARCO NEL 30° DELLA SUA ORDINAZIONE EPISCOPALE
Il 30° anniversario dell’ordinazione episcopale di P. Antonio Vitale Bommarco è per me un’occasione buona per fare grata memoria dell’Arcivescovo, a cui devo in parte la mia risposta positiva alla vocazione che il Signore aveva messo nel mio cuore già da bambino. Ebbi modo di partecipare al pellegrinaggio diocesano a Roma in occasione della sua ordinazione episcopale avvenuta per le mani di papa Giovanni Paolo II il 6 gennaio 1983 in San Pietro. Sapevo del nuovo Arcivescovo quello che avevo potuto leggere su "Voce Isontina". Sapevo che era un francescano, ma siccome per me i francescani erano i frati minori di Cormòns, espressi in pullman le mie felicitazioni all’allora Guardiano del Convento di san Leopoldo, il quale mi chiarì che il nuovo Arcivescovo era sì francescano, ma di un ramo diverso dal suo. Così imparai che il francescanesimo si esprimeva a livello maschile in diversi rami e con diversi abiti religiosi. Quando arrivai a Roma ed il pullman imboccò via della Conciliazione mi prese una forte emozione al vedere per la prima volta dal vero la maestosità della piazza e della Basilica di san Pietro. In attesa dell’inizio della celebrazione vidi passare P. Bommarco attraverso il corridoio centrale della Basilica diretto all’altare della Confessione, probabilmente per ricevere insieme agli altri ordinandi le ultime indicazioni in vista del rito. Riconobbi subito l’Arcivescovo e lo indicai ai presenti, che cordialmente applaudirono insieme con me, riuscendo a bloccare per un attimo l’Arcivescovo eletto e a ricevere così il suo saluto. Guadandolo più da vicino, mi sembrava di averlo già visto. Lo guardai ancora quando, dopo il rito di ordinazione, l’Arcivescovo e gli altri ordinati sfilarono benedicenti lungo la navata centrale, ma a vederlo così rivestito dei paramenti pontificali, l’intuizione di averlo già incontrato mi svanì e pensai di averlo confuso con un'altra persona. La cosa si risolse nel 2007: in ricordo del 25° anniversario della vista pastorale di Papa Giovanni Paolo II a Padova e alla Basilica, toccò al sottoscritto organizzare gli eventi celebrativi. Guardando le foto d’archivio di quella visita, ne trovai una in cui, dopo il pranzo, il P. Bommarco, allora Ministro generale dell’Ordine, accompagnava il Papa al portone del chiostro della Magnolia per farlo salire sulla “papa mobile” ferma nel piazzale della Basilica. Lì, insieme con alcuni giovani di Corona, c’ero anch’io. Non potendo entrare in Basilica per la Messa, ci eravamo accomodati sul sagrato proprio vicino alla loggetta della Scuola del Santo da cui il Papa a mezzogiorno recitò l’Angelus. Mi era rimasto impresso nella memoria il volto di quel frate che ricevette un caloroso ed affettuoso abbraccio da parte del Papa prima che egli risalisse sulla vettura.
Seppi dopo, dalla viva voce dello stesso Arcivescovo quando viveva ormai in comunità con me a Trieste, che il viaggio di ritorno a Roma lo fece insieme al Pontefice e che proprio in quell’occasione il Papa stesso lo incoraggiò ad accettare l’ordinazione episcopale, che sarebbe stata resa pubblica due mesi dopo.
Lo rividi successivamente il giorno del suo ingresso in Cattedrale a Gorizia. Don Armando Zorzin, allora segretario e maestro delle cerimonie, mi aveva chiamato a leggere una intenzione della preghiera dei fedeli. Un mese dopo l'Arcivescovo venne nel Duomo di Cormòns per incontrare il Decanato. Al termine della Messa, mi venne incontro e mi disse: «È vero che eri in Seminario?». Io risposi di sì. «Desidero incontrarti personalmente» mi rispose. E mi invitò a pranzo a casa sua. Da lì iniziò per me una nuova avventura, che mai avrei immaginato.
Negli anni che seguirono ebbi modo di conoscerlo meglio e di apprezzare la sua fede e la sua dinamicità, che a volte poteva anche sconcertare e disturbare. Egli non era certo l’uomo del “si è sempre fatto così” o dello “stemo boni, femo niente”. La dinamicità di P. Bommarco, saldamente ancorata alla sua fede semplice e profonda, coltivata in una vita spirituale intensa, scaturiva da un amore sincero per Dio e per il prossimo e la salvezza delle anime. Era una fede che gli permetteva di proiettarsi con fiducia e speranza nel futuro, facendogli affidare il proprio e l’altrui passato alla misericordia di Dio, il presente al suo amore e il futuro alla sua provvidenza. Una fede che aveva succhiato con il latte materno. Da bambino, quando pregava con la zia - lo testimonia la sorella Gianna -, i suoi fratelli, esuberanti per l’età, cercavano di distrarlo dal suo raccoglimento, senza però riuscirci.
La fedeltà dell’Arcivescovo alla preghiera distribuita nell’arco della giornata (ufficio divino, santa Messa, adorazione eucaristica e S. Rosario) costituisce per me ancora oggi una lezione di vita.
Una preghiera la sua non fine a se stessa, non per sé, ma che lo rendeva disponibile al servizio dei fratelli, all’accoglienza delle persone, anche quelle un po’ “strambe”.
E tutto questo con la coscienza viva di non aver corrisposto pienamente alla grazia di Dio. L’invito che san Francesco rivolse ai frati poco prima di morire: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto» (1Cel. 103), era scolpito nella sua memoria come consolazione e come sprone per ricominciare sempre con nuovo entusiasmo.
«Nella mia vita ho più ricevuto che donato, ho toccato con mano che ogni uomo è portatore di una ricchezza e a lui si deve andare incontro, per Amore. Ecco perché ho scelto, come motto del mio servizio episcopale, le parole di S. Massimiliano Kolbe: ”Da’ te stesso agli altri: questo è Amore”». Sono queste le parole con le quali P. Bommarco, frate minore conventuale e arcivescovo metropolita di Gorizia, spiegò il motivo della scelta del motto episcopale. Riascoltandole dentro di me, ho l'impressione di intravvedere un filo rosso che percorreva tutta la sua esistenza. Infatti, nella sua vita di frate, di sacerdote e di vescovo, egli seppe guardare con realismo pieno di speranza la realtà della Chiesa e di ogni uomo. Realismo, speranza e fedeltà mi sembrano la concretezza dell’amore.
Questa testimonianza vuole esprimere ancora una volta la mia profonda gratitudine a P. Antonio Vitale Bommarco, perché se oggi sono frate e sacerdote è anche per merito suo. Egli mi ha ritrovato e rimesso in cammino. Da lui ho ricevuto il sacramento dell’Ordine del diaconato e del presbiterato. Con lui ho percorso un tratto di strada, alla sua preghiera mi affido perché mi aiuti a custodire il dono che ho ricevuto.
Fra Enzo M. Poiana OFM Conv.
Rettore della Pontificia Basilica di sant’Antonio di Padova
«LA REGOLA DI VITA DEI FRATI MINORI È QUESTA, CIOÈ OSSERVARE IL SANTO VANGELO DEL SIGNORE GESÙ CRISTO, VIVENDO IN OBBEDIENZA, SENZA NULLA DI PROPRIO E IN CASTITÀ» (regola bollata 1223).
Padre Antonio Vitale Bommarco ha cercato di mettere in pratica questa norma nelle varie fasi della sua vita da religioso francescano conventuale, riservando un amore alla sua natia Cherso, all’Ordine e alla nostra Arcidiocesi, scegliendo come programma episcopale il motto caro a San Massimiliano Kolbe, il martire della Carità ad Auschwitz, “dona te stesso agli altri, questo è amore”.
Personalmente ho sempre ammirato in lui la grande conversione compiuta da una vita da religioso in Comunità il sapersi adattare alla vita diocesana, intessuta da incontri e da varie programmazioni in una vita priva di una comunità, facilmente adattabile alle situazioni in salute come nelle degenze ospedaliere con la semplicità e schiettezza, che contraddistinguevano il suo carattere.
Ritengo giusto ricordarci quanto ha stimolato la nostra comunità diocesana:
- A livello ecclesiale: indicendo un sinodo con la partecipazione dei laici, la duplice visita pastorale alle parrocchie, i pellegrinaggi ad Aquileia e a Barbana, la riapertura del seminario minore, la realizzazione del Monastero con la venuta in diocesi delle suore di clausura, l’attenzione ai ricreatori di Cervignano, Monfalcone e Grado;
- A livello culturale: l’invio di alcuni sacerdoti agli studi superiori, la riattivazione della società per la conservazione della Basilica di Aquileia e il sostegno all’edizione del Corpus scriptorum Ecclesiae Aquileiensis, la fermezza nel far svolgere il primo convegno ecclesiale triveneto ad Aquileia e Grado nel 1991, la realizzazione del seminario teologico interdiocesano a Castellerio, l’istituzione del liceo linguistico Paolino d’Aquileia, la conservazione del patrimonio storico della diocesi;
- A livello caritativo: la continuazione dell’attenzione alle missioni in Costa d’Avorio, l’ istituzione della Caritas diocesana, rivelatasi provvidenziale specie allo scoppio della guerra nei Balcani, la vicinanza al mondo del lavoro specie dei cantieri di Monfalcone interessandosi per nuove commesse di carattere militare, la grande attenzione verso il mondo degli ammalati, la difesa dei suoi sacerdoti e l’interessamento verso le loro condizioni di vita e la provvista di una casa per il clero anziano (Comunità Sacerdotale).
In obbedienza ha accolto l’elezione a vescovo da parte di Giovanni Paolo II° ed in obbedienza ha lasciato la guida dell’arcidiocesi, ritornando alla vita conventuale con i soli effetti personali. Sempre secondo la regola francescana “ di circondare di indicibile amore la Madre del Signore Gesù” ogni giornata ha riservato a Maria la recita dei tre rosari.
Dopo aver lasciato la guida della diocesi di Gorizia, ritiratosi nel convento di Trieste mi disse in una circostanza le parole di San Francesco “ io ho fatto il mio dovere, quanto spetta a voi ve lo insegni Cristo” (Leg. Magg. 14,3). Umiltà nel riconoscere anche pubblicamente i suoi errori e qualche impulsività, semplicità nella vita e nei rapporti pertanto merita il nostro ricordo e riconoscenza.
Sac. Armando Zorzin
PADRE BOMMARCO E IL CRITERIO DELL’AMORE «DA TE STESSO AGLI ALTRI, QUESTO È AMORE»
Pensando a quell’indimenticabile tiepida serata di gennaio di trenta anni fa, all’uscita dalla Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo la solenne ordinazione episcopale, mai avrei pensato che quei luoghi mi sarebbero diventati con il tempo tanto familiari. Una serata di grande emozione per quella fortuita presentazione che non mi sono mai spiegato, quella che il novello arcivescovo di Gorizia, in un modo estremamente familiare mi fece a Giovanni Paolo II davanti alla bellezza singolare della Pietà di Michelangelo. Solo anni più tardi seppi della loro vecchia conoscenza e amicizia che aveva radici fin dagli anni ’70 a Cracovia, quando Karol Wojtyła era arcivescovo e padre Antonio Vitale Generale dell’Ordine. Ma questo scritto è occasionato dai trent’anni che ricorrono in questi giorni dal suo ingresso a Gorizia, Chiesa che ha sentito veramente come “Sposa”, che ha amato e che lo diceva sempre chiaramente, non avrebbe mai lasciato, neppure dopo la morte e così è stato. Come non ricordare in questi giorni quelle sue parole nel primo messaggio di saluto ai diocesani: “Personalmente sento la gioia di innestarmi nella tradizione e nella storia più bella di queste terre: di Aquileia, porta romana e cristiana dell’Oriente europeo; di Grado, che con amore e con fierezza custodì per secoli la fede aquileiese; di Gorizia, che nell’evo medio e moderno raccoglie l’eredità di Aquileia e Grado per continuare ad essere nuova amalgama di genti e di civiltà diverse e ponte agevole verso l’Europa. La Chiesa isontina, figlia di Aquileia, si sente ad essa legata da una profonda eredità spirituale che tutti noi siamo chiamati a sviluppare e valorizzare….”
Di lui ricordo l’umiltà e la semplicità con le quali, l’ultima sera della sua visita pastorale a Cormòns dove mi trovavo come vicario parrocchiale, mi testimoniò chi fosse, parlandomi della sua vita e ascoltando la mia seduti ambedue semplicemente sul letto della mia camera. Quella sera, quel gesto fu per me, la vera visita pastorale alla parrocchia, cioè un entrare nel cuore e nella vita di chi ti sta davanti. Certo la gran parte, come anche è giusto, lo vedeva come il Vescovo, l’autorità, del resto spesso scherzava su quel detto che “girava” tra i frati e che lui per forza di cose ammetteva, che era cioè “un superiore nato”, da una parte perché aveva il carisma riconosciuto del servizio dell’autorità,dall’altra perché, quasi senza fare la gavetta religiosa, lo esercitò fin dai suoi 29 anni a Barbozza per tutta la vita e lì, tra i colli di Valdobbiadene, lo concluse nell’autorevolezza propria della sofferenza vissuta e accettata con fede.
Quello che mi rimane dentro, a tanti anni di distanza e che mi è a volte testimoniato da altri confratelli presbiteri era la capacità che aveva nel contagiare l’altro con quel suo atteggiamento positivo di guardare avanti con speranza. “Avanti!” era la sua parola ricorrente, eco sicuramente, anche per un sano timor di Dio, delle parole evangeliche «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). Quante volte quell’avanti, l’ho sentito dai suoi letti di dolore negli ospedali, ed erano esortazioni che comunicavano una forza indicibile e che nello stesso tempo mi facevano sentire così povero e pauroso.
“Ho conosciuto veramente un uomo senza paraventi, che si esponeva personalmente e si caricava anche di colpe non sue per coprire gli altri”, queste parole di padre Enzo Poiana, dette a suo riguardo nove anni fa le sottoscrivo completamente.
Un altro aspetto che ricordo e rivivo specialmente quando mi trovo in un convento, non solo al Santo di Padova, ma anche a Castelmonte o a Gorizia, è quel “sentire famiglia” è quel “respirare la francescanità” che lui amava tanto, ed è come se lo avessi ancora accanto. Ma una delle perle della sua spiritualità è stata la devozione mariana, realtà che ha intriso la mistica vita di San Massimiliano Kolbe per la cui canonizzazione col titolo di martire della carità, tanto peso ebbe il suo coraggioso confronto personale con Giovanni Paolo II, in aereo, di ritorno a Roma dalla visita apostolica alla città di Padova quel 12 settembre 1982. La devozione a Maria, all’Immacolata per lui voleva dire Lourdes, i cari fratelli ammalati, in particolare Bernadette Soubirous e riguardo a lei la rivelazione che Maria le fece: ““Non ti prometto di renderti felice in questo mondo, ma nell'altro”, forse erano proprio queste parole la sua forza segreta nelle difficoltà, insuccessi, umiliazioni, rischi di vita per la salute cagionevole. "Lasciati condurre nella serenità e nella fiducia verso la Misericordia Divina attraverso l'Immacolata", questa massima di Padre Massimiliano Kolbe la fece sua “sine glossa”. Al convento dell’Immacolata di Barbozza poi iniziò e terminò il suo cammino. Con sforzo sovraumano per ore ogni 15 agosto, nonostante le sue note difficoltà respiratorie, a piedi saliva al santuario di San Salvador che domina la baia della sua Cherso. Ricordo poi la sua gioia quando gli fu comunicato dalla Santa Sede di poter coronare l’immagine della Madonna del Preval a nome del sommo pontefice Giovanni Paolo II. Ma al di là di queste cose, sicuramente i più preziosi ricordi sono quelli rimasti nascosti nelle relazioni personali con la gente semplice, con i poveri, azzardando qualche volta sul versante della carità, che comunque per lui non era soprattutto questione di denaro e materialità, ma prima di tutto del dono di sé, del suo tempo, del suo saper ascoltare, della sua umanità, di quel "Da te ipsum aliis = Amor" che lo accompagnò sempre.
Dovremmo ritornare e ripensare alle cose volute e realizzate dall’arcivescovo padre Vitale nella nostra Chiesa diocesana, il diaconato permanente, la casa sacerdotale, la Scuola cattolica, il Monastero, la valorizzazione dei laici nel Sinodo, Aquileia, in tutte queste cose non solo c’è la sua presenza, ma per tutti noi c’è un mandato.
don Maurizio Qualizza
IL RICORDO DI PADRE BOMMARCO
Il ricordo di padre Bommarco per me è indelebile e il dialogo con lui permane al di là della sua dipartita terrena. Ritengo un dono e una grazia grande del Signore l’averlo conosciuto “da vicino” come Uomo, Padre, Pastore.
L’ho incontrato la prima volta in seguito al suo primo ricovero in ospedale a Gorizia, resosi necessario al rientro da un viaggio in Africa, dove contrasse la malaria. La caposala del reparto non mi permise di salutarlo, perché le sue condizioni erano piuttosto serie, così la pregai di porgergli i miei saluti e di assicurarlo che l’avremmo ricordato nella preghiera.
Il giorno successivo, il padre mi mandò a chiamare: rimasi colpita dalla semplicità, dalla capacità di adattamento e dalla serenità. Nessuna pretesa, nessun privilegio, nessun lamento …
Alla sua dimissione, su richiesta del primario di Anestesia e Rianimazione, venne ospitato in Convitto in quanto la struttura, attigua all’ospedale, permetteva di poterlo seguire da vicino per i frequenti controlli medici. I sanitari della Rianimazione lo definirono il “paziente più paziente” ed era vero. Non si lamentava mai. “Padre, come sta?”. “Benissimo …”. Benissimo anche se il respiro era affannoso e il volto cianotico…
Al rientro in arcivescovado, per alcune settimane la sera, finito il lavoro, viste le sue condizioni non ottime, mi recavo da lui per controllarlo durante la notte. Una sera, verso le 22.00, il padre guarda l’orologio e mi dice: “E’ ancora presto, dialoghiamo un po’ …” In quel primo dialogo ho intravisto una tempra forte e decisa, apparentemente dura, entro il cuore di un padre semplice come un bambino, capace di ascolto, delicato e rispettoso, esente da moralismi.
Da quel primo ricovero a Gorizia ne seguirono molti altri: a Padova, a Montescano, a Trieste.
La conoscenza di una persona affina la sensibilità, per cui diventai “esperta” nel rilevare i primi sintomi di un’insufficienza respiratoria. Il rapporto di fiducia che si era instaurato mi permetteva di convincerlo al ricovero, superando la sua naturale ritrosia. Più volte è stato intubato e più volte ha rischiato la vita ma, quando riprendeva coscienza, immancabilmente mi chiedeva dove si trovasse, l’ora e soprattutto la corona del rosario. Molte volte lo vedevo assorto in preghiera e, nonostante fosse come “un Cristo in croce”, mi chiedeva dello stato di salute di questo o quella persona … si preoccupava se io avessi mangiato e riposato. Pregava, soffriva e offriva in letizia per la sua Chiesa, per gli ammalati, i sacerdoti …
A chi non lo conosceva appariva serio, burbero, scostante, ma non era così. Era sensibilissimo, non gli sfuggiva nulla, sopportava in silenzio, era retto e schietto, deciso e forte, faceva il bene senza chiasso. Credeva nella persona. “Meglio credere che dubitare” diceva. Il concetto di “persona” era molto forte in lui. In una cartolina da Lourdes scriveva nel 1990: “… vi ho tenuti presenti in questo ‘Tabor’ meraviglioso, dove è bene stare”. Gesù ha trasmesso il suo fulgore alla sua Madre, ed io ho sperimentato ciò che disse Bernardetta alla fine della terza apparizione: ‘mi guardava come una persona!’. Abbiamo bisogno di essere anche noi ‘guardati nel profondo e nella totalità dalla Madonna per ritrovare sempre la fiducia e la gioia, non per i nostri meriti, ma per questo costante sguardo materno sulla nostra vita”.
A lui devo la riscoperta di Maria nella mia vita. Un giorno mi mise al collo una catenina con la medaglietta dell’Immacolata e, come ultimo ringraziamento, mi fece dono di una statuetta della Madonna a cui era molto legato. E poi parlava spesso di Massimiliano Kolbe, di come l’aveva conosciuto, della sua ammirazione e desiderio che riprendesse vigore la “Cittadella dell’Immacolata”. Fu sempre il padre a suggerire a Giovanni Paolo II l’idea di considerare Massimiliano Kolbe “martire della carità”, idea che il Papa accolse contrariamente al parere dei teologi. Oltre a Massimiliano Kolbe i suoi santi erano Francesco d’Assisi e Antonio da Padova e spesso raccontava della ricognizione dei loro corpi. Si rimaneva stupiti perché si percepiva nel suo linguaggio la semplicità disarmante del bambino che racconta le meraviglie di Dio. Così quando parlava del miracolo ottenuto da giovane seminarista, grazie all’assunzione di una fiala di liquido delle ossa dei martiri di Concordia Sagittaria, che suo zio gli aveva portato.
Il Signore aveva un progetto su di lui, che portò a compimento dopo svariate sofferenze fisiche e morali. La sua vita era decisamente orientata a Dio, per cui nessun ostacolo lo frenava. Che dire della sua Chiesa di Aquileia? Era come un innamorato. Lotto, soffrì, operò con determinazione perché riemergesse nel suo splendore non solo come Chiesa Patriarcale fatta di pietre, ma soprattutto perché risvegliasse la fede nei cristiani e ritornasse al suo antico splendore anche per i popoli dell’Europa dell’Est.
Solo una fede rocciosa come la sua lo aiutò a superare le difficoltà, ed è incredibile come sia riuscito a concretizzare così tanto con una salute così precaria. A volte era un po’ temerario … “Padre, si riguardi”. “Va bene, va bene”. Non si curava affatto di se stesso, era sempre proteso verso gli altri. Bisognava avviare il liceo linguistico Paolino d’Aquileia, provvedere ad una struttura per i sacerdoti anziani, trovare un luogo idoneo per un monastero di clausura che garantisse preghiera e offerta per la Chiesa universale e particolare … sembrava assorbito dal fare a scapito della vita di preghiera, ma non era così. La corona del rosario era la sua compagna. Pregava quando camminava per strada, era assorto quando celebrava la S. Messa, pregava negli spostamenti in macchina, pregava la sera, pregava la notte …
Ricordo che una volta mi disse: “ci sono cose che contano e cose che non contano: la cosa che conta è l’instaurare un rapporto personale con il Signore …”. Il suo Tabor preferito era la sua Kucica a Cherso, dove desiderava ardentemente ritirarsi d’estate per un mese circa, per gustare il suo eremo, un po’ distante da Cherso e raggiungibile solo in barca: una piccola casetta di sassi, molto povera, fra le balze degli ulivi da dove si ammirava un mare stupendo e si respirava il profumo di salvia selvatica e rosmarino. Si aveva la sensazione di trovarsi nell’Eden alla presenza di Dio … Silenzio, pace, preghiera, studio, fraternità e … gioco a carte. Alle 22.30 ultimo rosario tra uno sbadiglio e l’altro e poi finalmente il meritato riposo.
Il padre amava molto la vita di comunità e sapeva trasmettere un senso di pace. Non serbava rancore con nessuno; anche nei momenti di contrasto, di divergenza di vedute od altro dopo qualche minuto era come non fosse successo niente, era il primo che andava incontro all’altro con disinvoltura , umiltà e serenità. Non voleva si parlasse male di alcuno, sapeva mantenere il segreto ed era prudente. Spesse volte ci si “rubava il pensiero” per trovare il modo di aiutare qualcuno. Non sapevo ad esempio dove trovare un alloggio per alcuni allievi stranieri che non avrebbero avuto la possibilità di pagare un affitto, e lui prontamente: “Potrebbero venire qui in Arcivescovado, c’è tanto posto!”. Un’altra volta mi invitò ad andare a trovare una signora anziana cieca che viveva da sola in città, gli feci presente che non sarei riuscita a farmi carico di questa persona a causa del poco tempo a disposizione. Un giorno mi incarica di portare a questa signora un piccolo dono in occasione del suo compleanno ben sapendo – e con una certa furbizia – che, una volta incontrata, non sarei più riuscita a mollarla: e così fu.
Innumerevoli sarebbero gli episodi da raccontare; per ora è sufficiente qualche pennellata per ringraziare il Signore di averlo conosciuto e per chiedergli aiuto per attuare il progetto di Dio nella mia vita.
Suor Virgilia Bettega
Sua Ecc.za PADRE ANTONIO VITALE BOMMARCO ofm conv - Scheda biografica
Antonio Bommarco nasce a Cherso il 21 settembre 1923. A undici anni entra nei seminari della Provincia Patavina dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali; emette quindi la professione semplice l’8 settembre 1940 con il nome religioso di Vitale, e quella perpetua il 4 ottobre 1945. Colpito nel 1946 da una grave malattia polmonare, definì sempre non spiegabile umanamente la sua guarigione, attribuendola all’intercessione dei Santi Martiri Concordiensi.
Ordinato sacerdote a Padova l’8 dicembre 1949 daI vescovo Girolamo Bartolomeo Bortignon, assume a ventinove anni l’incarico di guardiano del convento di San Pietro di Barbozza (Tv), dove si fa apprezzare per la vicinanza alla gente e i lavori di ampliamento e ammodernamento di quella struttura, divenuta con lui casa di formazione per aspiranti fratelli.
Le sue doti di organizzatore riemergono nel 1961 allorché viene chiamato a dirigere le Edizioni “Messaggero di Sant’Antonio”, potenziandone la qualità delle proposte e l’organizzazione del lavoro (l’attuale impianto tipografico ed editoriale di Noventa Padovana va ascritto alla sua iniziativa).
Nel capitolo provinciale celebrato nel 1964 padre Bommarco viene chiamato alla responsabilità di ministro della Provincia Patavina di Sant’Antonio dei Minori Conventuali, con giurisdizione sui conventi del Triveneto e Lombardia; al governo della provincia è riconfermato nei capitoli del 1967 e 1970. In quel periodo ricopre l’incarico anche di presidente della Conferenza Mediterranea dei Ministri Provinciali dei Francescani Conventuali.
Nel maggio 1972 padre Vitale Bommarco viene posto in Assisi a capo dell’Ordine, nella successione di San Francesco, portandosi da Padova a Roma e iniziando il servizio itinerante di guida e “rivitalizzazione” dei frati conventuali sparsi nel mondo. Sua particolare preoccupazione come ministro generale è la dilatazione del carisma missionario francescano, concretizzatasi nell’apertura di dieci nuove stazioni di presenza dei frati conventuali nei cinque continenti. Confermato ministro generale nel capitolo del 1978, celebra nel 1981-82 l’ottavo centenarìo della nascita di San Francesco d’Assisi e il 750° del transito di Sant’Antonio di Padova (dei resti dei due santi padre Bommarco segue personalmente le ricognizioni canoniche dando loro più idonee collocazioni), nonché la canonizzazione del confratello San Massimiliano Kolbe, riconosciuto dalla Chiesa quale martire anche grazie alla caparbietà e all’intuizione del ministro generale.
La chiamata di Padre Antonio Vitale Bommarco al ministero episcopale nella sede metropolitana di Gorizia e Gradisca porta la data dell’11 novembre 1982, seguita, il 6 gennaio 1983, solennità dell’Epifania, dalla consacrazione in San Pietro per le mani di Papa Giovanni Paolo Il. Monsignor Bommarco fa quindi solenne ingresso nell’arcidiocesi isontina il 6 febbraio, iniziando il cammino da Aquileia, sede di una fra le più antiche chiese locali dell’Occidente cristiano e poi centro dell’omonimo patriarcato: alla prestigiosa storia di Aquileia, al suo patrimonio di civiltà e di culto cristiani, alla sua splendida basilica, l’arcivescovo Bommarco dedicherà per oltre vent’anni, sino alla fine della vita, tante energie e personali convinzioni, contribuendo in modo significativo al restauro e riassetto del monumentale tempio (in particolare dei mosaici pavimentali, della cripta, dell’aula battesimale e della c.d. Aula Nord, realizzando pure il nuovo organo), al rilancio degli studi e delle proposte culturali (vedasi l’inizio dell’edizione del Corpus scriptorum Ecclesiae Aquileiensis) e alla promozione di iniziative di comunione tra le chiese “figlie” dell’antica metropolia aquileiense, sviluppate soprattutto nel triennio preparatorio all’Anno Santo 2000. In vista di esso, a monsignor Bommarco è affidata la presidenza del Comitato Regionale per il Grande Giubileo delle diocesi del Friuli Venezia Giulia, incarico che gli permette di riaffermare nei fatti le sue lungimiranti intuizioni circa la necessità di una sinergia fra le chiese dello stesso territorio regionale (vedasi per esempio l’istituzione del Seminario interdiocesano Udine-Gorizia-Trieste per la formazione al presbiterato) e pure fra esse e la Regione Autonoma.
Quale pastore dell’arcidiocesi di Gorizia, monsignor Bommarco, sempre con stile francescano, si coinvolge intensamente con quella realtà ecclesiale e pure civile, culturale, etnica e umana, assai variegata, preoccupato delle situazioni concrete delle persone e famiglie, del lavoro (si vedano i suoi interventi durante la crisi dei cantieri di Monfalcone), del superamento nella proiezione della nuova Europa delle conseguenze dell’innaturale confine che aveva diviso Gorizia nel secondo dopoguerra: i contatti con le Chiese d’oltreconfine, ispirati al valore della fraternità tra i popoli, si esprimono per esempio con l’avvio, propugnato dall’arcivescovo, della tradizione del pellegrinaggio al Santuario di Montesanto insieme alla diocesi di Koper, Capodistria. Grande attenzione padre Bommarco riserva alla conservazione del patrimonio di storia, arte e tradizioni della città e dell’insigne Chiesa Goriziana e al rilancio del loro dinamismo di matrice cristiana: tra i molteplici suoi interventi si ricordano i restauri del Palazzo Arcivescovile, la realizzazione di una casa di accoglienza per sacerdoti anziani e ammalati, il deciso orientamento in favore della scuola cattolica con la fondazione e gestione da parte dell’arcidiocesi del Liceo Linguistico “Paolino d’Aquileia” e della Scuola Media “C. M. d’Attems” nei locali del seminario arcivescovile, il progetto del museo diocesano, la coraggiosa realizzazione ed istituzione del monastero delle Clarisse a Gorizia, il sostegno alle parrocchie (nelle quali tutte compie la visita pastorale ed è costantemente presente), incoraggiando i restauri degli edifici sacri e la provvista di ricreatori e strutture comunitarie. Nel 1996 l’arcivescovo Bommarco indice il secondo Sinodo della Chiesa Goriziana, convocando per due anni le sue articolazioni a dare nuove risposte alle necessità pastorali dell’arcidiocesi e del territorio isontino, visitati ad Aquileia e Gorizia dal Santo Padre Giovanni Paolo II ancora nel maggio 1992: di quella storica visita, compiuta alle quattro diocesi del Friuli Venezia Giulia, monsignor Bommarco fu coordinatore a livello regionale.
Lasciata per limiti di età la guida dell’arcidiocesi il 26 settembre 1999 e terminati pure gli impegni di coordinamento regionale del Giubileo del 2000 nonché del servizio, per mandato della Santa Sede, di delegato apostolico dell’Ordine dei Mechitaristi Armeni di Venezia, monsignor Bommarco si porta nel 2001 per la quiescenza a Trieste presso il Convento dei Francescani Conventuali di via Giulia, tornando così, come da vivo desiderio di sempre, alla vocazione religiosa sua originaria: qui si dedica alla preghiera, allo studio, da semplice frate, talvolta all’esercizio del sacro ministero, senza comunque perdere di vista numerosi progetti e obiettivi che gli stanno a cuore: tra questi le cause di canonizzazione del Beato Odorico da Pordenone e di beatificazione di Padre Placido Cortese, nonché le diverse problematiche e programmi sociali e culturali della Comunità Chersina “F. Patrizio”, di cui è tra i fondatori e presidenti.
E’ indubitabilmente verso Cherso che il cuore e la volontà di monsignor Antonio Vitale Bommarco continuarono a effondersi, rivolti sempre al futuro che, dopo le tante sofferenze della storia recente e dell’esodo, attende l’isola nella dimensione della riconciliazione tra le etnie e nello spirito di unione proprio della nuova Europa. E tutto ciò sino all’ultimo respiro emesso, il 16 luglio 2004, raggiunti gli ottant’anni, nel suo amato convento di San Pietro di Barbozza.
Walter Arzaretti