Al lavoro il Comitato «per la causa di canonizzazione»
Dieci anni dalla beatificazione di Padre Marco d’Aviano.
“Profeta disarmato della misericordia divina” lo definì alla proclamazione del 27 aprile 2003 Giovanni Paolo II che ancora da studente, “nei libri di scuola”, aveva conosciuto “questo contemplativo itinerante per le strade dell’Europa”, predicatore, taumaturgo, apostolo e diffusore dell’atto di dolore perfetto e anche difensore – in obbedienza al papa – della libertà e unità dell’Europa cristiana, minacciate dagli Ottomani alla fine del XVII secolo.
Il pontefice polacco aveva allora ammonito: “Al continente europeo il Beato Marco ricorda che la sua unità sarà più salda se basata sulle comuni radici cristiane”.
A un tale personaggio, “esempio per la coraggiosa azione apostolica”, rivolgono nuove attenzioni i frati cappuccini coadiuvati dal nuovo comitato “per la causa di canonizzazione”, meta indicata come irrinunciabile in particolare dal vescovo padre Flavio Roberto Carraro, già generale dell’Ordine, che del comitato è il presidente onorario e che già nel 1977 aveva smosso la causa scegliendo a guidarla il celebre padre Venanzio Renier, il quale diffuse ovunque le virtù dell’antico confratello e la preghiera per sua intercessione.
Del comitato sono membri il postulatore padre Florio Tessari e persone motivate di diverse zone del Veneto e Friuli, regioni ove Padre Marco maggiormente esplicò il suo ardente apostolato itinerante. Esse si trovano in questi giorni del decennale pellegrine a Vienna alla tomba del beato d’Europa, del quale vogliono dilatare il culto e la conoscenza (un agile opuscolo a colori è stato preparato per l’occasione).
Interessata a quest’opera “senza confini” è la diocesi nostra, attenta già da molti anni alla figura di Padre Marco per il “credo” espresso da padre Vitale Bommarco. Il compianto arcivescovo diede una grossa mano all’indimenticabile padre Venanzio per ottenere la tanto desiderata beatificazione del cappuccino, il quale veicola, soprattutto qui in terra isontina, il messaggio evangelico della collaborazione fra i popoli in quest’Europa che deve abbattere tutte le barriere con un cammino di effettiva unione che non deve conoscere tempi di stanchezza. Del comitato è membro fondatore don Maurizio Qualizza che con Walter Arzaretti, nel 1998, diede alle stampe il volume “Marco d’Aviano, Gorizia e Gradisca. Dai primi studi (presso i gesuiti di Gorizia, n.d.a.) all’evangelizzazione dell’Europa”. Egli ricorda come il beato fu ospite più volte della fortezza gradiscana in visita al suo grande amico, il conte Francesco Ulderico della Torre, ambasciatore dell’imperatore Leopoldo I a Venezia.
In queste settimane è nelle sale il più volte annunciato kolossal del regista Renzo Martinelli “11 settembre 1683”, che non si può definire peraltro un film “su padre Marco”, concentrandosi sull’assedio di Vienna e la vittoria contro i turchi del 12 settembre 1683: il cappuccino, “profeta disarmato”, pregò allora per la liberazione della città gemente e operò per il ristabilimento della pace in un momento drammatico. “Salvatore dell’Europa”!
W.A.
Pubblichiamo in occasione del decennale una mirabile sintesi dei valori della causa del Beato Padre Marco stesa ancora nel 1998 dall’indimenticato Celso Macor, sempre sensibile all’anima europea di Gorizia.
PADRE MARCO E GORIZIA LA STESSA «VOCAZIONE» EUROPEA ALL’INCONTRO DEI POPOLI
E apparve Marco d’Aviano. Irruppe nella storia e la civiltà fu salva per il vigore della sua parola. Sono tre secoli dalla tragedia che sfiorò l’Europa assediata dai Turchi. Noi ricordiamo quel passaggio aspro ed arduo e la storia ci riporta più affascinante ancora la grandezza di un uomo che illuminò con la sua fede e la sua saggezza le guide dei popoli europei e le rese consapevoli della catastrofe incombente, della salvezza nell’unità.
Ricordiamo Marco da goriziani, perché anche di Gorizia egli è figlio spirituale; della città che lo avviò al sapere, che gli diede umanità e virtù, che gli accese dentro i fuochi ideali della sua azione. Era una Go-rizia, quella dei tempi di Marco, che respirava i profondi spazi della cultura mitteleuropea; era la città delle grandi scuole, degli alti e severi studi che seminavano coscienze e preparavano uomini-guida per una vasta area dell’Impero. Era, questo, un terreno fecondato dall’incrocio delle radici culturali d’Europa – la latina, la tedesca, la slava – per un incontro di popoli cui il Creatore della terra e della storia l’aveva chiamato dall’inizio dei secoli. E come alla storia il Creatore aveva impresso la forza delle diversità etniche che dovevano essere benedizione l’una all’altra, convergenza di ricchezze singolari nel fiume comune, così alla terra aveva dato unità e completezza: le Alpi ed il Collio, il Carso e la pianura ed il mare. Il comandamento era che uomini e natura vivessero in armonia obbedendo al progetto divino, al dono, al privilegio.
Marco ci fa memoria anche di questo frammento di gorizianità, che lo fece partecipe di una profondità spirituale da cui prese luce la sua opera di apostolo della salvezza d’Europa contro l’oppressione e la de-vastazione incombenti. È un’epopea che si specchia nel secolo che viviamo, di pace inquieta dopo due terribili guerre. Il tempo nuovo di questi decenni ha visto Gorizia fedele all’antico legame stretto da Marco d’Aviano. Lo ha fatto ricercando, non sempre con successo, l’unità di intenti, il comune lavoro, cancel-lando il confine tra gli uomini ed i popoli cui l’«altra» storia, quella storia lontana ed inconsapevole che guardava solo agli interessi di potenza del mondo, l’aveva condannata. Ed il progetto per il Duemila dovrà proiettarsi in questo orizzonte anche nel nome di Marco d’Aviano.
La storia, sembra ammonirci il salvatore della civiltà europea, torna sempre a ripassare sotto i vecchi ponti; e la sapienza poggia sulle forti pietre poste dai padri. A Vienna ed a Buda si ersero per opera di Marco le torri di difesa della civiltà cristiana; oggi altre, vecchie e nuove torri, vanno erette contro chi minaccia ancora la civiltà d’Europa, la civiltà dell’uomo; contro il nuovo «Turco» della barbarie del Nulla e della morte di Dio, il «Turco» dei nazionalismi e delle guerre, quello che nega il diritto all’amore, che espropria l’uomo della vita, della dignità, lo sradica dal segno divino, lo riduce a homo homini lupus nel crescere delle nuove violenze.
Da quell’epoca decisiva della vicenda umana Marco d’Aviano chiama. E la sua profezia viene nell’oggi dall’antico sogno d’Europa: l’Europa della Gemeinschaft, dell’essere insieme, popoli, lingue, identità, continuazione della Creazione e della Pentecoste, uniti da aspirazioni comuni verso supremi ideali di primato spirituale rispetto alla pur profonda e necessaria ragione economica: ragione che deve tendere al maximum bonum con l’elevazione di ogni uomo, con la solidarietà, e non chiudersi negli orizzonti brevi delle leggi materiali del denaro o nei tentacoli del dominio tecnologico.
Dal suo tempo Marco d’Aviano ci fa memoria dell’alto insostituibile ruolo della Cultura e della Poli-tica, ci addita strade di conquista che hanno per meta l’uomo figlio di Dio, centro di un infinito progetto di salvezza, in un mondo in armonia tra l’intelligere ed il sentire, in rispondenza ad un precetto di libertà e di fraternità che deriva da leggi divine.
E’ barriera, quel suo forte messaggio, contro un moderno male di vivere che ci ha allontanato dalla Natura e dall’Essere, che ha turbato, ha sconvolto la condizione umana costringendola ad una febbre bra-mosa ed inquieta depredata dei valori, spesso della forza creatrice dell’intelligenza, disancorata dai fon-damenti primigeni dell’opera divina.
Dalla lontananza di tre secoli Marco entra così nell’attualità e va, oltre gli spazi della nostra epoca, in un futuro che culmina nella realizzazione perfetta del progetto di Dio. Resta, questo grande della nostra terra e dell’Europa, simbolo luminoso presente come in quel monumento che lo ricorda nella Kapuziner-kirche di Vienna, alto a brandire la croce avanzando coraggioso nel tempo, impetuosa ed ardente voce che chiama l’Europa ed il mondo a vegliare e non lasciare che tramonti mai la speranza. La Lega Santa delle lotte ideali è senza tempo.
1998 - Celso Macor