Raccomandava il Concilio Vaticano II nel Decreto Apostolicam Actuositatem al n. 10: «Si abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica». A cinquant’anni di distanza in questa tornata di elezioni, ormai prossima, si è riscontrata tutta la stanchezza e l’alibi della delega nel dare la propria disponibilità a candidarsi nel nuovo Consiglio pastorale, anch’io lo ho toccato con mano. L’ho richiamato domenica scorsa nelle omelie, pur dicendo di aver trovato dieci persone che hanno dato la loro disponibilità per le due liste di candidati per rispettare anche il criterio della territorialità delle parrocchie gradiscane di San Valeriano e del Santissimo Salvatore. I motivi dell’affievolirsi dell’impegno e quelli della stanchezza, insieme alle innegabili responsabilità, sono tanti, ma tra questi anche la mancanza, da tanti anni, di progetti pastorali significativi della Chiesa locale che spronassero e coinvolgessero le comunità parrocchiali. Per cui si è rischiato di essere capaci di organizzare solo girandole appariscenti di sussulti pastorali. Urge e si avverte ovunque la necessità di sottolineare l’importanza di trovare forze nuove non appiattite sul già visto e sperimentato che portino una ventata nuova legata anche alle esigenze di questa generazione che sono cambiate
E richiedono risposte diversificate alle quali noi spesso non sappiamo che cosa dire. Speriamo davvero in un nuovo inizio.