Papa Montini, accanto a Papa Giovanni XXIII, grande fautore del concilio Ecumenico Vaticano II, sarà beatificato a Roma domenica 19 ottobre.
Lo ricordiamo nei giorni che commemorano il 36° anniversario della sua morte.
Gli ultimi mesi di vita di Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI, furono duri e difficili. Ormai prossimo agli 82 anni, il 1978 era stato per lui un anno tragico.
Malato e stanco, Paolo VI aveva dovuto affrontare nel marzo di quell’anno il sequestro del suo amico di una vita, Aldo Moro. E fece un gesto rimasto nella storia, un gesto clamoroso: quello di scrivere una lettera agli “uomini delle Brigate Rosse”, dicendo di “inginocchiarsi” dinanzi a loro per chiedere la liberazione di Moro, ma la lettera non ebbe effetto. “Dies amara valde”, giorno di infinita tristezza, è la frase che risuonò sulle labbra dell’anziano Pontefice.
Il 29 giugno il Papa celebra la Santa Messa a ricordo dell’inizio del suo Papato, avvenuto 15 anni prima. E dice una frase emblematica: “Le immagini dei Santi Apostoli Pietro e Paolo occupano, (…) il nostro spirito durante la celebrazione di questo rito. Non solo perché ci sono riportate (…) dal volgere dell’anno liturgico, ma anche per il particolare significato che riveste per noi questo XV anniversario della nostra elezione al Sommo Pontificato, quando, dopo il compimento dell’80° genetliaco, il corso naturale della nostra vita volge al tramonto”. La salute del Papa è da tempo malferma, e si sa che non sta bene. Ma la fine ormai è vicina, e Montini sembra presagirlo. Alle 21.41 il Papa moriva.
Domani mercoledì 6 agosto, festa della Trasfigurazione, S. Messa e ricordo di Paolo VI alle ore 8.00 in Duomo.
OMELIA memoria 36° anniversario morte di Paolo VI
Ieri sera cercavo alcuni pensieri di Paolo VI sulla festa della Trasfigurazione e invece mi sono imbattuto nell’omelia tenuta dal Cardinal Ratzinger in occasione della morte di Paolo VI, è talmente bella che oggi leggo alcuni passaggi assieme a voi...
Così iniziava il pensiero dell’allora arcivescovo di Monaco di Baviera:
Per quindici anni, nella preghiera eucaristica durante la santa messa, abbiamo pronunciato le parole:
«Celebriamo in comunione con il tuo servo il nostro Papa Paolo».
Dal 7 agosto questa frase rimane vuota. L’unità della Chiesa in quest’ora non ha alcun nome; il suo nome è adesso nel ricordo di coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e riposano nella pace.
Papa Paolo è stato chiamato alla casa del Padre nella sera della festa della Trasfigurazione del Signore, poco dopo avere ascoltato la santa Messa e ricevuto i sacramenti.
«È bello per noi restare qui» aveva detto Pietro a Gesù sul monte della trasfigurazione. Voleva rimanere. Quello che a lui allora venne negato è stato invece concesso a Paolo VI in questa festa della Trasfigurazione del 1978: non è più dovuto scendere nella quotidianità della storia. È potuto rimanere lì, dove il Signore siede alla mensa per l’eternità con Mosè, Elia e i tanti che giungono da oriente e da occidente, dal settentrione e dal meridione. Il suo cammino terreno si è concluso. Nella Chiesa d’oriente, che Paolo VI ha tanto amato, la festa della Trasfigurazione occupa un posto molto speciale. Non è considerata un avvenimento fra i tanti, un dogma tra i dogmi, ma la sintesi di tutto: croce e risurrezione, presente e futuro del creato sono qui riuniti. La festa della Trasfigurazione è garanzia del fatto che il Signore non abbandona il creato. Che non si sfila di dosso il corpo come se fosse una veste e non lascia la storia come se fosse un ruolo teatrale. All’ombra della croce, sappiamo che proprio così il creato va verso la trasfigurazione.
Quella che noi indichiamo come trasfigurazione è chiamata nel greco del Nuovo Testamento metamorfosi (“trasformazione”), e questo fa emergere un fatto importante: la trasfigurazione non è qualcosa di molto lontano, che in prospettiva può accadere. Nel Cristo trasfigurato si rivela molto di più ciò che è la fede: trasformazione, che nell’uomo avviene nel corso di tutta la vita. La trasfigurazione promessa dalla fede come metamorfosi dell’uomo è anzitutto cammino di purificazione, cammino di sofferenza.
Paolo VI ha accettato il suo servizio papale sempre più come metamorfosi della fede nella sofferenza. Le ultime parole del Signore risorto a Pietro, dopo averlo costituito pastore del suo gregge, sono state:
«Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni, 21, 18). Era un accenno alla croce che attendeva Pietro alla fine del suo cammino. Era, in generale, un accenno alla natura di questo servizio. Paolo VI si è lasciato portare sempre più dove umanamente, da solo, non voleva andare. Sempre più il pontificato ha significato per lui farsi cingere la veste da un altro ed essere inchiodato alla croce.
Nella Lettera ai Romani di sant’Ignazio di Antiochia è scritta la meravigliosa frase:
«È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui» (ii, 2).
Il vescovo martire la scrisse durante il viaggio da oriente verso la terra in cui tramonta il sole, l’occidente. Lì, nel tramonto del martirio, sperava di ricevere il sorgere dell’eternità. Il cammino di Paolo VI è diventato, anno dopo anno, un viaggio sempre più consapevole di testimonianza sopportata, un viaggio nel tramonto della morte, che lo ha chiamato a sé nel giorno della Trasfigurazione del Signore.
Affidiamo la sua anima con fiducia nelle mani dell’eterna misericordia di Dio affinché egli diventi per lui aurora di vita eterna.
Lasciamo che il suo esempio sia un appello e porti frutto nella nostra anima.
E preghiamo affinché il Signore ci mandi ancora un Papa che adempia di nuovo il mandato originario del Signore a Pietro: «Conferma i tuoi fratelli» (Luca, 22, 32).