Siamo alla V domenica di Pasqua, a una manciata di passi dalla Pentecoste. Come ci ha trovati la Pasqua?
E’ già un ricordo lontano, cosi che, più che decisi a “passare” all’altra sponda, siamo rimasti gli ascoltatori distratti di sempre e i fruitori asettici di liturgie che poco dicono alla nostra vita? Dio è paziente, aspetta, non si arrende, ama e basta! E’ per questo che la Chiesa, sua sposa fedele, come Madre sollecita, protrae il tempo di Pasqua fino alla Pentecoste, quasi a volerci regalare altri cinquanta giorni (ma tutta la vita, per la verità!), per deciderci a lasciare i nostri ciarpami, ad attraversare il Mar Rosso e dirigerci verso la Terra Promessa. Con un po’ di deserto, certo, per prendere atto di quello che siamo e di “come” siamo; per uscire dalla passività rassegnata all’azione fiduciosa; dallo stantio al rinnovo; dal non senso ad un gusto fresco e rinnovato per la vita. Ed ecco che, domenica dopo domenica, ci viene offerta una Parola profonda, vera, stupenda, che ci incoraggi al grande passo e ci faccia sentire profondamente amati, così, come siamo; sì, anche tu che magari ti vergogni di te stesso e non credi più in niente. E’ Gesù stesso che ci accompagna quando siamo sfiduciati e delusi, senza più niente da aspettare (Emmaus); che ci conforta nelle nostre paure di essere o essere lasciati soli (il Buon Pastore da la vita per le sue pecore!); che ci invita a stare aggrappati a Lui, come i tralci alla vite per diventare rigogliosi e fecondi.
Ed è questa immagine evocativa di un vignaiuolo, di una vite e dei suoi tralci, che la Parola ci chiama oggi a contemplare. La vite ha bisogno dei tralci, tralci stretti a lei, sani e forti i tralci necessitano della vite per ricevere linfa e vita; entrambe necessitano dell’opera di un vignaiuolo attento, esperto, appassionato curatore della sua vigna. Egli si prodiga perché, al momento opportuno, la sua vigna dia frutti e frutti in abbondanza. Zappa, rincalza, protegge da probabili attacchi di batteri, pota.
Ecco, deve anche potare: e la potatura non è mai indolore! I tralci trasudano linfa come amare lacrime e vorrebbero, forse, resistere al taglio, convinti di essere ingiustamente menomati e lasciati lì, snudati, finiti per sempre. Ma ecco, al momento opportuno, dalle loro ferite escono prepotenti gemme nuove e poi frutti opulenti e più abbondanti che mai. I tralci fremono al sole, colmi di gioia e di gratitudine: ora capiscono il senso della loro potatura; ora sanno che, da soli, possono solo seccare, ma che, se restano attaccati alla vite, possono dare frutti. Quei tralci, siamo noi! A volte ci sembra di subire potature persino un po’ esagerate, ma se poniamo la nostra fiducia in Lui sentiamo che ci renderà capaci di subitanee riprese e di insperati slanci.
Quel tralcio così storto, così brutto, quasi morto, è ciascuno di noi, Signore! Ma tu ci hai dimostrato che, dalla morte, sai trarre fuori la vita e non c’è tralcio “sbilenco” che tu non possa raddrizzare!
“Se rimanete in me e le mie parole in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato!"
Grazie Signore per questa promessa dolce e determinata. La custodiremo nel nostro cuore per tutta la settimana e sarà forza e sostegno al nostro camminare!
P.A.