Dall' Associazione don Andrea Santoro, riceviamo, per la preziosità dei pensieri e per allargare le parole belle di don Andrea volentieri pubblichiamo.
don Maurizio
“Dov’era Dio?”
molti si sono chiesti davanti alla tragedia del sud-est asiatico.
E’ una domanda seria.
Una domanda che ci facciamo quotidianamente davanti a sofferenze di ogni tipo.
Una domanda spesso sommessa, segreta, non gridata ma sofferta silenziosamente nell’intimo.
Due risposte mi vengono in mente.
La prima:
“non credo in Dio perché tutto va bene, ma siccome credo in Dio credo che in tutto c’è un bene nascosto che prima o poi verrà a galla”. “Non credo in Dio perché lo vedo ma siccome credo in Dio lo vedo sempre misteriosamente all’opera. Solo attendo di capirlo”.
La seconda risposta: chiedere a Dio, davanti al dolore, dove si trova non è una bestemmia ma una preghiera, una legittima richiesta di un uomo piccolo davanti a un Dio troppo grande. La preghiera non è un’invocazione astratta ma la presenza concreta di tutto il nostro essere davanti a Dio, l’offerta di me a lui così come sono. Il mio urlo, il mio pianto, la mia imprecazione, il mio dubbio, il mio vuoto interiore, il mio peccato che mi umilia, l’ingiustizia che mi calpesta sono la mia preghiera. Li pongo davanti a Lui come li vivo, li innalzo fino al suo trono, li deposito come mi escono dal cuore dentro il Suo cuore. Lui raccoglie tutto il mio gemere, il mio dubitare, il mio scalciare, il mio accusare e se lo stringe forte a sé. Il mio e il suo cuore si mescolano, il mio e il suo mistero si compenetrano e una luce si prepara, un germoglio nuovo si fa strada dal chicco spappolato sotto terra.
A Dio si può dire tutto, perché la preghiera è il mio vissuto e la fede è gettarmi addosso a Lui con tutto il mio peso. Ecco alcune delle espressioni più drammatiche, più profonde e più umane della Bibbia:
“Fino a quando Signore continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” “Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo… io sono verme non uomo” “Perché Signore mi respingi, perché mi nascondi il tuo volto…i tuoi spaventi m hanno annientato, mi circondano come acqua tutto il giorno” “Signore perché il mio dolore è senza fine? sei diventato per me come un torrente infido dalle acque incostanti” “Il mio occhio piange senza sosta, sono salite le acque fin sopra il mio capo e dissi: è finita per me! Ho invocato il tuo nome Signore dalla fossa profonda” “Sappiate che Dio mi ha piegato, mi ha avviluppato nella sua rete. Ecco grido ma non ho risposta, chiedo aiuto ma non c’è giustizia”.
DiciamoGli dunque: dove sei? PuntiamoGli pure il dito addosso in un impeto di collera e di dolore, ma poi stringiamoci addosso a Lui e facciamoci portare, come un bambino piccolo in braccio a sua madre, anche in sala operatoria, fin sul lettino del chirurgo: questo fa la differenza.
C’è una terza risposta, la più difficile e la più complessa, quella che maggiormente piega la nostra sicurezza, spiazza le nostre logiche più razionali, spezza il nostro orgoglio, la nostra illusione di dominare il mondo, la nostra pretesa di uomini giusti.
La risposta è: dietro ad ogni tragedia c’è una tragedia più profonda che coinvolge l’universo intero. Una tragedia le cui radici sono nascoste e antiche ma i cui frutti amari sono di ogni tempo e ben visibili. Questa tragedia si chiama peccato e la si può paragonare, per capirla, a un’infezione nascosta che dà come sintomi convulsioni e attacchi di febbre altissima che stremano l’organismo e lo portano ogni volta sull’orlo del collasso e della morte.
Il mondo, dice la Bibbia, è in preda al dolore e alla morte perché è in preda al peccato, non il mio o il tuo ma quello “nostro”, quello che passa di padre in figlio a partire dal primo “no” orgoglioso che si è annidato in noi come una malattia ereditaria: “grazie no, Dio! Non ho bisogno di te, so tutto, posso tutto, sono in grado di decidere io tutto, mi bastano le mie forze e la mia intelligenza. Se tu ci sei, fai ombra alla mia libertà, perciò se devo esistere io, devi sparire tu”.
Come l’uomo (il singolo come ogni comunità e ogni popolo) conosce gli attacchi distruttivi dell’ira, della gelosia, dell’invidia, della superbia, dell’egoismo, dello spirito di possesso, della sensualità, del culto del denaro e dell’apparenza, così la natura creata conosce attacchi ciechi e distruttivi, lo scatenarsi di forze incontrollabili che si abbattono all’improvviso, magari dopo aver covato a lungo, e seminano morte.
Come non c’è sempre amicizia tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, anzi una strana inimicizia e rivalità, così non c’è sempre amicizia tra uomo e natura, anzi spesso ostilità e guerra vera e propria. Come si rompono gli equilibri umani così si rompono all’improvviso gli equilibri tra uomo e natura, tra natura e natura.
L’immagine di una natura idilliaca e di un uomo “buono” all’interno di essa, è falsa. Come l’uomo fin dalla nascita, insieme alle sue virtù, si porta dentro le sue cattiverie così la terra-madre si manifesta spesso matrigna. Dio non c’entra perché Dio all’inizio, come dice la Scrittura, “ha fatto bene ogni cosa”. C’entra il peccato che ha portato fuori centro l’asse dell’uomo e lo ha fatto impazzire. La creazione, casa dell’uomo, è rimasta sconvolta dal suo peccato come lo resterebbe una casa in preda a un pazzo. E’ stata sottomessa, senza sua volontà, alla caducità e al disordine e si è rivoltata contro l’uomo. E’ come impazzita essa stessa. Dio, per amore di libertà, ha lasciato spazio al peccato e alla morte che ne è il frutto e i cui segni sono evidenti tanto nell’uomo che nella natura.
Ma Dio, per amore dell’uomo, non lo abbandona. Gli invia una forza illuminatrice, risanatrice e divinizzatrice e piega a suo favore le conseguenze tragiche del suo peccato. Dio cioè, che non ha voluto né il male né la morte lascia al male, alla sofferenza e alla morte il suo corso affinché l’uomo, attraverso essi, si interroghi, si purifichi, e rientri in se stesso.
Quando l’uomo chiede a Dio: “dove sei?”, Dio chiede all’uomo: e tu dove sei? Dove sono io nella tua vita? Dove è il tuo cuore? Dove portano le tue vie? Proprio la morte, da nemica, può diventare amica perché appannando all’improvviso tutto può portare alla luce cose nascoste e porre domande fino allora ignorate.
Il dolore, che uccide e spesso all’inizio pone contro Dio, può aprire sentieri sconosciuti e produrre frutti inimmaginati, può riportare a quel Dio da cui ci eravamo allontanati e che per questo ci appariva inesistente o estraneo o muto.
E’ così che la Sacra Scrittura ha letto e fissato per scritto certe grandi tragedie del passato: la torre di Babele e la frantumazione degli imperi, il diluvio universale e la corruzione della generazione di Noè, il crollo di Sodoma e Gomorra, l’offuscamento della gloria d’Egitto e di Ninive, la fine di Cafarnao, Korazin e Betsaida, la distruzione di Gerusalemme.
Gesù stesso davanti a una strage politica compiuta da Pilato (l’assassinio di molti Galilei avversari di Roma) e davanti a un episodio di cronaca nera (il crollo di una torre, con la morte 18 persone) dice: “credete forse che quei tali fossero più colpevoli degli altri? No, vi dico, ma se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo”.
Dio non veglia sulle nostre tragedie per inviarcele cinicamente, non è cieco o distratto da non accorgersene, non è impotente da non potercene salvare . Dio veglia sul nostro male perché ne nasca un bene. Non teme il dolore dei suoi figli ma se ne serve affinché, come per un bambino condotto in sala operatoria, ne nasca una guarigione.
Dio non guarda dal di fuori il nostro dolore ma ci è entrato dentro in Gesù, “uomo dei dolori”, per mostrarci come trasformarlo in una via di luce, per viverlo in noi e farcelo vivere in lui come strumento di Redenzione e come fonte di vita.
Se non vogliamo allora sprecare una tragedia o una morte, o seppellire sotto le parole eventi dolorosi privati o pubblici dobbiamo sempre daccapo chiederci: dove stiamo andando? Attorno a cosa ruota la nostra vita? Siamo davvero giusti o siamo chiamati alla conversione? Dov’è davvero Dio? Farsi solo domande sui sistemi di allarme e di prevenzione, fare solo ricerche di natura medica o scientifica, indagare solo sui danni di natura economica, significherebbe sprecare la morte di tanti e buttare al mare un patrimonio di dolore. Le prime domande sono importanti e doverose. Ma le seconde lo sono ancora di più. Le prime sono difficili, le seconde ancora di più. Le prime permettono di ricostruire, le seconde permettono di rinascere.
Se poi, ma qui la riflessione prenderebbe di nuovo il largo, ci mettiamo davanti al dolore innocente e puro come quello dei bambini, allora abbiamo il dovere di interrogarci sul valore di questa innocenza per noi, sulla dignità degli indifesi, sul posto che i più piccoli, i più puri, i più inermi e i più offesi occupano nella storia e nella nostra vita concreta.
Se non vogliamo che questa sofferenza innocente scompaia semplicemente sotto le onde e si riveli inutile per sempre dobbiamo riscoprire il sangue innocente di Cristo Agnello senza macchia.
Il mistero di questo sangue che lava le colpe del mondo ci farà scoprire il mistero di quell’innocenza che si fa carico silenziosamente del male del mondo e lo affoga, come Cristo, nella propria purezza. Apparirà come la vera innocenza, mite umile silenziosa, è l’unica in grado di riscattare il mondo dalla falsa innocenza. Questa vera innocenza si rivelerà come una grazia risanatrice che nessuna onda potrà portar via, e come l’unica forza in grado di liberare dal fango il mondo intero. Ci aprirà finalmente gli occhi su qualcosa che siamo chiamati a cambiare e su vie di luce che siamo chiamati a intraprendere.
Potremo capire come trasformare noi stessi il dolore in amore e la nostra sofferenza in uno strumento di vita per il mondo. Le false innocenze, astiose e presuntuose, cadranno e finalmente dall’umiltà potrà nascere una creatura nuova.
(don Andrea)