Don Tonino Bello, vescovo pasquale
Intervista a cura di Laura Giovine
Renato Brucoli è un assiduo collaboratore di questa testata. È approdato al giornalismo e all’attività editoriale dirigendo il settimanale della diocesi di Molfetta. Ha reso di recente la sua testimonianza nel processo di beatificazione e canonizzazione di don Tonino Bello, di cui a giorni ricorre il dies natalis. Come non intervistarlo sulla figura di un vescovo pasquale, amato particolarmente dai giovani e dai poveri, da sempre in odore di santità?
Allora, Renato, cosa puoi dirci sulla tua deposizione nel processo di beatificazione di don Tonino Bello?
Proprio nulla, perché ne ho giurato la segretezza sulla Bibbia: figuriamoci se sono disposto a riferire alcunché.
Almeno dicci come hai vissuto quest’esperienza nel complesso.
Sono stato ascoltato in quattro sessioni di testimonianza, ciascuna della durata di cinque ore circa. L’emozione mi ha accompagnato dal primo all’ultimo momento. Il tribunale ecclesiastico mi ha interrogato sulle virtù di don Tonino Bello (fede speranza e carità che lo faranno santo, ma anche giustizia, fortezza, povertà, umiltà, temperanza…) invitandomi a riferire circostanze e fatti vissuti in prima persona, in cui tali virtù si sono manifestate in modo rilevante, piuttosto che valutazioni di carattere generale. Abbiamo cominciato con la preghiera di lode al Signore. La stessa ha rappresentato, per me, motivo di perdurante preparazione a ciascun incontro. Nel gruppo di lavoro mi ha colpito la figura del “delegato del vescovo”, don Sabino Lattanzio: sacerdote ispirato, competente, esperto, determinato nello svolgimento del proprio ruolo, e anche la serenità che animava gli altri componenti. Di più non posso dire.
Rimane il fatto che hai conosciuto bene don Tonino Bello e collaborato con lui durante l’episcopato. Qualcosa potrai aggiungere…
L’incontro ha introdotto un’esperienza unica, indimenticabile; un’occasione di crescita e di servizio. La prima domenica di agosto del 1987, don Tonino mi ha accolto all’ingresso della chiesa intitolata ai Santi Medici in Terlizzi e proposto di assumere la direzione del settimanale diocesano, trovando immediata e generosa disponibilità nella mia persona. Poco più tardi, quasi a ripagarmi dell’impegno, mi ha proposto di assumere anche la responsabilità del settore emergenze della Caritas diocesana, e ha voluto donarmi, per l’occasione, le chiavi dell’episcopio, che ancora conservo: un gesto di fiducia e di amicizia che ha fatto breccia nel mio cuore. Da allora credo di non essermi risparmiato, tanto con l’impegno quanto con lo scritto e la testimonianza resa in tutta Italia su don Tonino, in una molteplicità di sedi, presso gruppi ecclesiali e non solo. Mons. Bello ha espresso una fede purissima e concretissima, indicando mete umane e religiose fra le più elevate ma da perseguire nella ferialità: questo il messaggio. Aver incrociato i suoi passi, ha rappresentato l’evento più importante della mia vita. Considerando, poi, che a diciannove anni dalla morte terrena si parla ancora tanto della sua figura, sono portato a pensare che sia di riferimento non solo per me, e che appartenga più al terzo millennio che al Novecento, più al futuro che al passato.
I giovani lo considerano un sicuro punto di riferimento. È un segno forte della sua presenza?
Così è stato fin dal primo momento. I giovani della mia generazione lo cercavano, lo invitavano a scuola, lo attendevano a casa, amavano dialogare con lui, porsi al suo fianco. Fra questi c’ero anch’io. Don Tonino ci rispettava, ci valorizzava, ci trattava alla pari, mai dall’alto in basso. Eravamo incantati dalla sua umiltà e povertà, dal suo sguardo limpido e critico allo stesso tempo; per la prima volta incontravamo un vescovo che si faceva nostro compagno di viaggio, interagendo con autorità nella ricerca di senso che è tipica della giovane età. Per molti è stato un fratello, una spalla su cui sostare, un’ala con cui riprendere il volo… Altrettanto accade a molti giovani dei nostri giorni. Lo dico per esperienza.
Come valuti l’episcopato di don Tonino nel complesso?
Aveva in mente una Chiesa a servizio del mondo, povera e per i poveri, la “chiesa del grembiule”, impegnata nella storia; non clericale ma configurata come “popolo di Dio” secondo il Concilio, in cui valorizzare il laicato. Il Vangelo non gli appariva come una parola scritta, materia di conoscenza e di studio soltanto, ma come annuncio gioioso, vivificante. Non ho conosciuto alcuno che abbia promosso come lui l’attenzione all’altro, la relazione umana, la gratuità, la reciprocità, le opere, la carità cristiana, l’anelito di speranza. Per non parlare dell’impegno in favore della pace, che non è riducibile all’ingresso in Sarajevo lacerata dalla guerra, giacché aperto a una costante elaborazione dottrinale e pedagogia dei segni.
Quale l’origine dell’incendio?
Sicuramente Cristo, il Risorto. Aveva gli occhi costantemente fissi su di Lui. All’origine c’è l’annuncio pasquale, che non è mai ripetitivo perché chiarisce la provvisorietà di ogni lacrima e di ogni sofferenza, riconducibili semmai ai dolori del parto. Secondo don Tonino la vita vera è in Cristo, in lui è il futuro dell’umanità, che va incontro a una nuova primavera, non verso il diluvio e la catastrofe, come ha ricordato nel testamento spirituale. C’è poi l’affidamento alla Madonna. Con lei don Tonino esprime l’attitudine dell’innamorato: non parla dell’amore ma con l’innamorata, costruendo un rapporto unico, inedito, personale. In Maria don Tonino contempla non solo il prototipo della Chiesa, ma anche della donna vera, nostra contemporanea: capace di accoglienza, di tenerezza, di servizio, di sequela. Nel suo orizzonte teologico, Cristo e Maria costituiscono l’uomo nuovo e la donna nuova. In loro si condensano le dimensioni che rigenerano l’umanità: la ricerca del volto e la crescita della dimensione materna, fattori che vivificheranno la storia e la condurranno a vele spiegate verso l’eschaton: la sua pienezza.
Questa visione non è astratta, perché ha prodotto molti fatti concreti. La memoria di don Tonino è legata alle opere, all’immersione nella storia…
Per lui varrebbe il detto secondo cui “fra il dire e il fare non c’è di mezzo il mare”. Ecco, la mia fortuna e il mio impegno (costantemente accompagnati dalle discriminazioni di cui sono stato fatto oggetto negli ultimi due decenni) hanno acquisito spessore dall’essere stato al suo fianco in alcuni momenti cruciali della storia locale e internazionale: la crisi abitativa degli anni ’80 (con l’accoglienza di sfrattati in episcopio), gli esodi di massa dall’Albania verso la Puglia, la crescita esponenziale di presenze straniere sul territorio per lo svolgimento di lavori stagionali, l’esplosione delle tossicodipendenze a livello giovanile, la minaccia ambientale, la crisi petrolifera e la conseguente militarizzazione del versante Sud della Nato… Per ciascuno di questi eventi, don Tonino ha configurato una risposta dettata dalla sua fede aperta alla carità e alla speranza.
In questo scenario, quale il rapporto con Terlizzi e la sua gente?
Ricordo perfettamente l’ingresso di don Tonino in Terlizzi, il 5 dicembre 1982. Si definì “vescovo della strada”, preannunciando una fra le caratteristiche fondamentali del suo episcopato. Anche da noi ha compiuto opere eccellenti, come sanno in tanti. È entrato nelle abitazioni dei poveri e ha strutturato l’impegno ecclesiale di Caritas. Ha espresso grande attenzione alla periferia urbana. Ha contribuito a fondare la Fraternità Francescana di Betania, prima esperienza nella Chiesa italiana di vita comunitaria religiosa maschile e femminile insieme. Ha dato slancio al diaconato permanente. Ha voluto una casa di preghiera. Ha incontrato i politici, così refrattari al suo annuncio, invitandoli a esprimere più attenzione alla persona – alle sue dimensioni interiori come alle proprie esigenze concrete – piuttosto che alle opere fatte di pietra. Ha pronunciato alcuni fra messaggi decisivi sul senso dell’esistere. Nel suo cuore hanno trovato spazio sentimenti di amicizia e di attenzione nei confronti di tanti terlizzesi, che ora lo portano nel proprio cuore.
Morto don Tonino, che rimane di don Tonino?
A me pare che don Tonino sia un uomo venuto dall’avvenire, e come tale destinato all’eternità. Lui non ci ha raggiunti dal passato per dare continuità; è venuto dall’avvenire, per fare nuovi i cieli e la terra. La sua incursione nella storia è stata breve ma intensa: una stagione di grazia… e nuovamente ci precede. La sua vita ha valore di segno, di proposta. Sono convinto che il Risorto si sia servito di lui per significare che una “vita altra” è possibile, in cui i cuori si riscaldano e le relazioni cambiano, tanto fra le persone quanto fra i popoli. Rimane, dunque, la capacità di amore materno di don Tonino. L’attenzione all’altro e la profezia della pace. Rimane la sua parola luminosa e coerente. Rimane l’invito a coniugare la Bibbia con il giornale, la contemplazione con l’azione. Rimane l’urgenza di testimoniare i valori cristiani nei cantieri della cronaca. Rimane il magistero della sofferenza. Una grande eredità, che ha provato a trasmetterci per contagio, meritando in pieno la luce del Risorto.
Fonte: mensile locale di Terlizzi (diocesi di Molfetta)
Da queste pagine ringraziamo per la disponibilità la casa editrice "Ed Insieme di Renato Brucoli"